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La strategia del verde

Nel IV sec. a. C., il filosofo Aristotele fa una scoperta: nello stesso modo in cui nell’aria stanno luce e oscurità, così nei corpi si trovano il bianco e il nero. Quando il bianco della luce e il nero dell’oscurità si fondono, il risultato è un colore che non è più né bianco né nero, ma - sostiene Aristotele - “un colore mescolato che presenterà un aspetto di nuovo genere”.(Data di pubblicazione sul blog: 20/10/2006)

Ho un lavoro. Sono stato assunto a tempo determinato. Nelle clausole del contratto c’è scritto che il mio lavoro terminerà con l’arrivo delle prime grandi piogge, “presumibilmente tra i mesi di agosto e settembre”. È la prima volta che, in Italia, si assume con un preciso riferimento alle condizioni climatiche. Ma non sono né un geologo né uno stagnino. Appartengo alla categoria dei lavoratori “socialmente utili”, e sono stato assunto dalla Rai, radiotelevisione italiana, azienda di Stato e di governo, insomma in mano alla maggioranza parlamentare. Mi pagano bene. Non mi lamento.
Non sono un esperto di previsioni del tempo: sono diplomato al liceo artistico Hajech di Milano, e per sbarcare il lunario vendevo qualche quadretto per strada. Paesaggi verdissimi, scorci della Brianza, del Bergamasco e delle rive del fiume Ticino. Ai turisti piacevano. Esponevo per strada, dalle parti del Duomo, sinché un giorno è passato il Premier in visita a Milano, scortato dalla security e da un codazzo di colonnelli, cardinale, vescovo, sindaco, vicesindaco, comandante dei vigili urbani, giornalisti. Dicono che ogni tanto abbia bisogno di un bagno di folla.
Quel giorno c’era molto caldo, e il Premier si è fermato per prendere fiato e guardare i miei quadri. Sul momento ho avuto paura, perché non avevo una licenza di ambulante e pensavo che mi appioppassero una multa. Invece il Premier si è fermato, come colto da una folgorazione. Mi ha fatto molte domande, ma una in particolare mi ha colpito: “Che cosa pensa del colore verde?” Proprio così.
Non mi sono fatto cogliere impreparato. Avevo appena dato l’esame, ero fresco di studi sul colore. E così, mentre nel codazzo di gente importante calava un pesante silenzio, mi son fatto coraggio e ho risposto: “Il verde è un bellissimo colore complementare del magenta.”
“Non v’è dubbio,” ha detto il Premier, preparandosi a fallire clamorosamente un verbo. “Non metterei mai una cravatta verde, ma, perdinci, un’immagine senza verde non vale un fico secco. Lei fa un verde molto bello, pieno di sfumature, molto vivo. Complimenti. È raro
che si vede un verde così fresco”.
“Grazie,” ho detto al Premier, “in effetti il verde
che si vede mi riesce piuttosto bene.”
“È difficile ottenere un verde così fresco?”
“È difficile, nel senso che il verde è un colore di passaggio dai colori freddi ai colori caldi. Ci vuol poco a rovinarlo: due tinte calde vicine si raffreddano e due tinte fredde vicine si riscaldano. Bisogna fare attenzione agli accostamenti.”
“Ah sì, un mio avvocato diceva che, quando un imputato si presenta all’udienza in abito blu e con scarpe nere, fa sempre una buona impressione!”
Il codazzo rise di gusto. Il Premier aveva qualche pendenza con la giustizia per dei gravi reati, ma sapeva che la nuova carica di governo e la maggioranza assoluta in Parlamento gli avrebbero garantito l’immunità totale: non aveva nessun bisogno di ricorrere al banale stratagemma dell’abito blu con scarpe nere.
Non mi sono scomposto. “Quella suggerita dal suo avvocato è una combinazione ritmica del colore che si chiama accordo: può essere acromatico, monocromatico e cromatico. Comunque il colore freddo, come l’azzurro, il blu e il verde, è generalmente calmante, fine, arioso, trasparente.”
“Dice bene, in politica ci vuole trasparenza.” Il codazzo annuì.
“Ovviamente...”
“Sì?”
“Ovviamente, dico trasparente nel senso simbolico del termine…”
“Ovviamente. Ma mi dica del verde. Dà un tale senso di... come dire... di sicurezza.”
“Esatto. Come il semaforo verde. Sicurezza e via libera.”
“Fantastico. Continui...”
“Beh, per esempio, le confezioni di detersivi usano i colori associati all’acqua, come il verde e il blu, perché indicano pulizia e frescura. Il verde è un colore terapeutico, è dolce e calmante. È refrigerante.”
“Meraviglioso. Mi dica di più...”
“Non saprei... C’è tanto da dire. C’era uno psicologo svizzero che diceva che i colori caldi e chiari aumentano la tensione muscolare e accelerano i battiti del cuore, mentre quelli freddi calmano la psiche.”
“E il giallo? Non so... la terra arsa, i campi quando c’è la siccità...”
“Dipende. Il giallo può dare gioia, ma dipende dalle gradazioni. Il giallo-arancione a cui si riferisce è una gradazione che potrebbe dare una sensazione di povertà e di malattia. Tanto per dire: il giallo viene usato nei cartelli che indicano pericolo, l’alta tensione o il nucleare, e anche l’arancione indica le zone di pericolo. Sono bei colori, però...”
“Però il verde è tutta un’altra cosa. Mi dica, sinceramente: lei potrebbe trasformare il giallo, insomma quello brutto della malattia, in un verde... diciamo in un verde... fecondo?”
“Fecondo?”
“Sì, fecondo: la terra verde è feconda. Mi capisce? Il contrario dell’aridità.”
“Sì, è vero. Mi era sfuggito il concetto. Beh, sì, certo che posso.”
“Ma non lo dovrà fare sulla tavolozza: lo farà alla televisione. È capace?”
“Se c’è un tecnico che segue le mie indicazioni, allora sì, sono capace.”
“Bene, lei è assunto per un tot di settimane. La saluto.”
A quel punto il corteo si è allontanato; un tizio della security, uno che mi squadrava con l’occhio clinico mentre si succhiava una carie con molta professionalità, mi ha preso i dati dalla carta d’identità e il numero di telefono di casa dei miei, e una specie di segretario mi ha fatto cenno di seguirlo. Ci siamo messi in disparte e mi ha detto: “Duemilacinquecento euro la settimana per lavorare alla televisione, vitto, alloggio, spese pagate, bonus, liquidazione, varie ed eventuali. Possibilità di conoscere vallette con tacchi da 12 centimetri e scoparle. Si vede lontano un miglio che lei non vede una fica da quando ha lasciato il reparto ostetricia. Consegna del silenzio assoluto. Se racconta quello che fa, e per chi lo fa, lei ha finito di vivere. Se lavora bene ed entra nelle grazie di chi so io, il suo futuro è radioso. Si presenti a questo indirizzo di Roma dopodomani mattina alle ore 9,30. Si metta una cravatta, o almeno si presenti con un abbigliamento decente. E intanto si eserciti: abbiamo bisogno di un verde molto fresco e refrigerante, il più refrigerante del mondo.” Poi mi ha dato un biglietto da visita ed è sparito dentro un’auto blu.

Adesso sto seduto in una poltroncina girevole di uno studio della Rai. Vivo blindato e in simbiosi con un bravo tecnico, una specie di mago. Visiono tutto il girato relativo ai paesaggi italiani, valuto con un colpo d’occhio e poi trasformo i paesaggi aridi e bruciati dal sole estivo in fresca verzura. Il lavoro è tanto, estenuante, e deve essere realizzato in fretta e furia. Con il tecnico, abbiamo studiato un metodo per intervenire sul colore anche in diretta. Se c’è un servizio dal sud dell’Italia, l’inviato avrà alle sue spalle sempre un paesaggio verdeggiante. Non sono ammessi errori. Diamo la caccia immediata alla chiazza giallo-ocra-arancione, e la inondiamo di verde.
Perché? Perché il Premier è un grande comunicatore. E in questo periodo deve comunicare alla gente una sensazione di serenità, di relax, di sicurezza. E soprattutto di fresco. È estate e fa caldo, molto caldo. Nel Sud non piove da mesi. In Sicilia manca l’acqua, e il partito del Premier ha in Sicilia una delle sue roccaforti che gli ha portato milioni di voti: un plebiscito.
La televisione mostrava, prima della mia assunzione, immagini di desolazione, chilometri di arsura, la terra arida, i raccolti andati in malora, le fontane asciutte, le bestie senza foraggio. La gente del Sud, costretta a rivolgersi all’approvvigionamento idrico della mafia, ha cominciato a ribellarsi; i cittadini hanno bloccato le strade, gli agricoltori hanno manifestato, le prefetture sono state allertate per prevenire eventuali disordini. Gli spettatori erano sconcertati. Il ministro delle Risorse agricole ha detto che era una calamità naturale, ma un giornale ha scritto che la storia dell’acqua è una storia di mafia: si fanno gli invasi, ma non le reti di distribuzione; si fanno nuove autostrade, perché rendono di più nel mercato degli appalti, ma non le dighe; la mafia manomette le condutture pubbliche perché controlla il mercato privato dell’acqua, ruba l’acqua dagli invasi pubblici e poi la rivende ai privati. In Puglia i pozzi abusivi sono più di trecentomila, le perdite di acqua superano il quaranta per cento. In gran parte del Mezzogiorno la gestione degli acquedotti è affidata a incompetenti. Senza parlare, poi, della speculazione edilizia e della distruzione dei boschi: il terreno non riesce più a trattenere l’acqua piovana. Ma tutto questo nessuno lo dice in televisione. Nessuno dice che l’acqua c’è ma non viene portata nelle campagne e nelle case. Perché la televisione è del Premier, che usa come un formidabile strumento di governo e di consenso.
Il Premier, però, aveva un problema. Se l’acqua mancava, si poteva dare colpa anche alla siccità. La siccità viene e va. Ma le immagini che gli italiani vedono nel telegiornale restano nella memoria: più sono brutte, più restano. E non è un bel vedere quei campi polverosi e riarsi, quelle colline marroncine, quegli arbusti ingrigiti, quelle bestie che soffrono. Così il Premier, che è un genio, ha deciso di colorare tutto di verde, in tempo reale. L’inviato del telegiornale fa il suo servizio, e sullo sfondo si vede una piana verdeggiante, anche se in realtà ha il colore della merda secca di cane o della terracotta.
Il risultato è stato straordinario. Il tecnico che mi affianca ha fatto pratica in una società americana, specializzata in
computer-animated films with three-dimensional appearance, che fa cose incredibili: sono considerati i maghi degli effetti speciali. Abbiamo anche comprato delle macchine molto costose e un software potente che, sempre col supporto dello studio californiano, ci permettono di intervenire anche nelle dirette. Io faccio il supervisore, il mio lavoro è stato molto apprezzato, e i sondaggi danno il Premier in costante recupero. Dobbiamo fronteggiare questa emergenza sino alle prime piogge. La gente crede a quello che vede. L’importante è che la gente veda tanto verde. Perché il verde è uno dei quattro colori principali - rosso, azzurro, verde e giallo - uguali ai quattro elementi di Empedocle: fuoco, aria, acqua, terra. Noi nascondiamo la terra - il giallo - e facciamo vedere l’acqua - il verde. Io ho selezionato un verde che piace molto al Premier. Tanto che ha deciso di cambiare il colore ufficiale del suo partito con il mio verde. Un verde particolare e molto brillante, di cui mi sento in un certo senso orgoglioso, che ho chiamato verde siciliano e che conto di brevettare al più presto. Il signore che mi aveva contattato dalle parti del Duomo, una specie di segretario, mi ha detto di non montarmi la testa: “Se la televisione fosse ancora in bianco e nero, tu non saresti nessuno.”
“Se la televisione fosse ancora in bianco e nero, non ci sarebbe neanche il Premier,” ho replicato. “Il primo televisore trasmetteva in bianco e nero, ma costava quanto un’utilitaria: non era il mezzo più adatto per parlare alle masse.”
Il signore non ha apprezzato la mia vena polemica. In effetti, forse mi sono montato la testa: a me di certe cose non me ne è mai fregato niente; dovrei fare più attenzione e continuare a farmi i cavoli miei. Quel signore era scomparso ed è ritornato a gironzolarmi intorno: deve avere in mente qualcosa.

Quel signore si chiama Egitto: è il suo nome in codice e nessuno conosce il suo vero nome. Tutti facciamo finta che Egitto sia il suo cognome. Perciò lo chiamiamo signor Egitto.
È un tipo che mette i brividi. Porta gli occhiali affumicati, veste come un questurino ma di classe, sempre grigio e con la piega perfetta, e ha un ghigno perenne inciso nella faccia di pietra. È alto e robusto, cinquantacinque anni almeno, ma atletico, molto in forma. Questa sera mi ha organizzato una festa in un villino fuori Roma. Ho capito che stava per succedere qualcosa di importante. Era scaduto il mio contratto, perché erano arrivate le prime forti piogge. Ma c’era qualcosa nell’aria. C’era una specie di sorpresa. Forse mi avrebbero rinnovato il contratto, magari a tempo indeterminato. Insomma, questo era quello che speravo.
Hanno persino esagerato. Mi hanno fatto telefonare ai miei per dire che andava tutto bene e che mi sarei fermato ancora un po’ a Roma. Mi hanno offerto champagne, coca e quattro donne. Dice che erano vallette della televisione. Della coca non sapevo che farmene, lo champagne non mi è mai piaciuto, ma le ragazze erano strepitose. Mentre Clarissa, abito super attillato con inserti pitonati, che diceva di essere americana ma aveva zigomi tartari, si era abbassata e mi stava facendo, insomma, quella cosa lì, il signor Egitto me l’ha tolta di dosso e mi ha fatto cenno di seguirlo, con un ghigno che non dimenticherò sinché campo. L’ho seguito spaventato, quasi non respiravo, mentre zampillavo e mi sporcavo i pantaloni.
Siamo entrati in una stanza da cui non si percepiva alcun rumore esterno: probabilmente era insonorizzata. “Ti abbiamo filmato,” mi ha detto il signor Egitto. “Sei venuto bene.”
Mi è andata di traverso la saliva. “Che cosa vuole?”
“Non ti devi preoccupare: hai lavorato bene. Ora sei dei nostri.”
“Chi?”
“Hai meritato la nostra fiducia. Puoi continuare a lavorare per noi. Te l’avevo detto: se vai bene, ti assicuri il futuro. Ora c’è un altro problema.”
“Il verde non va più bene?”
“Va benissimo. Il problema è un altro colore.”
“Non c’è problema. Lo risolviamo. Quale colore?”
“Il rosso. Hai aggiunto il verde, ora devi togliere il rosso.”
“Quale rosso?”
“Il rosso. È un lavoro facile. Prenditi una vacanza. Ti daremo istruzioni. Adesso divertiti.”

Adesso sto qui all’ottavo piano di un palazzo di viale Cuneo. Ho l’occhio puntato sul cannocchiale di un fucile di precisione fornito dal signor Egitto, che si è preoccupato anche di istruirmi sull’uso e il caricamento. È incredibile come questo cannocchiale riesca ad accorciare le distanze tra me e il mondo, tra me e la strada, tra me e i marciapiedi, tra me e la gente, tra me e il Rosso che, in questo preciso istante, è seduto in un bar qui sotto, a meno di 200 metri in linea d’aria.
Il Rosso è il principale avversario politico del Premier. L’unico vero avversario che gli resta. È il colore che va eliminato. E io sono considerato, ormai, uno specialista del colore. Ma, se devo essere sincero, questa volta nessuno mi ha chiesto un parere, e la cosa mi ha un po’ irritato.
Mentre inquadro nel mirino la fronte del Rosso, vedo delle rughe intorno agli occhi. Il Rosso ha una faccia simpatica, ha lo sguardo corrucciato, il viso è intelligente. Sta seduto nei tavolini all’aperto del bar di viale Cuneo, tra due signori, ma è solo con se stesso. Assapora un caffè. A volte accompagna la tazzina alla bocca con tutt’e due le mani. Sorseggia il liquido nero e quasi lo invidio per come riesce a godersi quel piccolo piacere. Mi fa venire voglia di caffè. A un certo punto si mette in piedi, stringe la mano al cameriere, poi si incammina seguito dai due signori, lentamente. Poi sorride e alza lo sguardo al cielo. Si ferma. Si volta. Fa un mezzo giro su se stesso. È una bella, luminosa giornata di settembre. Il cielo si è aperto dopo le forti piogge, l’aria è dolce. Il Rosso guarda in alto e incontra il mio sguardo. O meglio, lui non sa di incontrare il mio sguardo, e questo mi dà un certo senso di potere. Perché io so che lui non sa, perché io ho l’indice della mia mano destra sul grilletto, e lo sto premendo con forza: basta uno scatto di pochi millimetri e il gioco è fatto.
Il signor Egitto mi ha dato anche un paio di guanti. “Il guanto deve essere come un preservativo: semplice,” mi ha detto. “E le analogie finiscono qui.” E, in effetti, i guanti erano stupendi, leggeri, quasi non si avvertivano le cuciture, facevano aderire la mano al fucile come una ventosa, e questo mi dava molta forza e determinazione. Leggeri, giusto un velo, come i guanti di un chirurgo, un sipario che separa la mano dalla coscienza. E questa nuova condizione mi dava ebbrezza, potere, ma solo perché mi toglieva ogni responsabilità. Non ero io, quello della mano. Ero soltanto quello che doveva eliminare il rosso.
È così. Però nessuno mi ha chiesto un parere, come per il verde. Se qualcuno me l’avesse chiesto, avrei detto che il rosso rappresenta la vita, l’energia e il fuoco. Che nella tradizione ebraica Abramo significa
rosso e vivente. Che il rosso è stimolante, ravviva la malinconia e la pigrizia. Che il rosso è un colore cosiddetto “saliente”, perché sembra uscire dalla superficie su cui si manifesta. Che spinge l’individuo alla concretezza e alle necessità pratiche. Che è caldo, sonoro e in moto continuo. Che è un colore associato a concetti di positività, azione, calore, vicinanza.
Se l’avessi detto, forse avrebbero tentato di convincermi del contrario; avrebbero replicato che il rosso un tempo veniva riservato alle caste sociali più elevate, e perciò anche oggi lo ritroviamo nel manto dei cardinali, nella mantellina del Papa, nei paramenti delle incoronazioni regali. Avrebbero detto che è un simbolo di potere e ricchezza. Ma io gli avrei risposto che si confondevano con la porpora. La porpora non è il rosso che dico io. Quello che dico io è quello che nella tradizione popolare viene associato alla parola
amore, inteso come sentimento passionale e sensuale. Non l’avrebbero spuntata, come non la spuntava mai il mio professore. Allora avrebbero tagliato corto e mi avrebbero detto “fa’ quello che ti diciamo e non discutere”. E a quel punto avrei perso la pazienza, perché a me dell’azzurro, del verde, di quelle cose lì, non mi è mai importato niente. Li usavo per i quadretti destinati ai turisti. A me è sempre piaciuto il rosso. E mentre il Rosso mi sorrideva, alle mie spalle è comparso improvvisamente il signor Egitto che mi ha strattonato e mi ha detto: “Che cazzo fai, datti una mossa.”
Mi son dato una mossa. Mi sono girato. La carabina ha emesso un rumore secco, come quando ci si siede di botto su un puf. Nulla di più. E, mentre una grossa perla rossa già sgorgava dalla fronte del signor Egitto, il Rosso era scomparso dietro l’angolo.
Questi non sono miracoli. Questa è sintassi dei colori. Come il contrasto simultaneo, che è il contrasto più complesso, perché si basa sulla legge della ricerca dell’equilibrio nella percezione cromatica. Voi sapete cosa sono i colori complementari? Sono due colori che mescolati insieme danno il grigio. Ad esempio, il complementare del giallo è il viola, che è la somma di magenta e cyano. La coppia magenta/verde esprime il massimo contrasto di opposizione tra due colori della medesima luminosità e rende difficile la percezione esatta dei limiti dei due colori. Ora, nel contrasto simultaneo, il problema è l’equilibrio. Se guardiamo una superficie colorata, questa sollecitazione nervosa crea un disturbo al nostro equilibrio fisico: nell’occhio si crea la sensazione del colore complementare a quello osservato, che ristabilisce nel grigio l’equilibrio perduto.
Provate a osservare a lungo una superficie circolare rossa, rossa come il sangue, e poi posate lo sguardo su una superficie bianca: vi apparirà una forma circolare verde. Verde, non rossa. Perché l’occhio ha prodotto la sensazione del colore complementare, in questo caso il verde, per ristabilire l’equilibrio. E due colori complementari mescolati annullano la propria cromaticità nel grigio, che è il colore del riposo per eccellenza.
Ora il corpo del signor Egitto riposa avvolto nel suo fresco lana grigio di ottimo taglio sartoriale. È un problema di equilibrio. Solo il grigio procura all’occhio umano uno stato di equilibrio perfetto. Tanto che quando ho spinto giù dal cornicione del terrazzo il corpo del signor Egitto, che ancora respirava con dei piccoli sussulti, e dopo averlo sollevato con uno sforzo che sul momento mi sembrava immane, l’abito non si è sciupato neanche un po’. Almeno, questa è stata la mia personale percezione. Non nego che ci si possa sbagliare, ma credo che la mia percezione fosse giusta.
No, l’abito non si era sciupato neanche un po’. Tutt’al più, posso dire che il corpo del signor Egitto, cadendo dall’ottavo piano, ha fatto un solo rimbalzo, e che, da quella distanza, non mi appariva più come una percezione eminentemente grigia, ma come una piccolissima macchia distintamente verde.

G. G.