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Novene varicose

Un disco per l'estate.
Cosimo Mele al fagotto
Giovanardi al trombone
Casini al violino
Buttiglione alla trombetta
D'Onofrio alla brillantina
Cesa alla sega elettrica








Eppure il moto dei corpi fa bene allo spirito.

Secondo Ynet (edizione online del quotidiano Yediot Ahronoth), il nunzio apostolico a Gerusalemme, monsignor Antonio Franco, probabilmente non parteciperà alle cerimonie del Giorno della Rimembranza per i martiri e gli eroi dell’Olocausto, che si terranno presso lo Yad Vashem il 15 aprile, in segno di protesta per la presenza di una foto di Pio XII esposta nel 2005 nel museo dell’Olocausto di Gerusalemme, accompagnata da una didascalia che ricorda il comportamento “ambiguo” del Pontefice di fronte allo sterminio degli ebrei.
All’inizio del 2006, già il precedente nunzio aveva richiesto una modifica della didascalia, e i responsabili dello Yad Vashem avevano risposto prontamente che sarebbero stati disposti ad esaminare la condotta di Pio XII durante l’Olocausto se il Vaticano avesse messo a disposizione dei ricercatori del museo i suoi archivi. Cosa che, puntualmente, non è avvenuta.
Papa XII è una figura controversa, beatificata da papa Wojtyla nell’anno del Giubileo, non gradita a molti ebrei. Da un lato, si condannano i “silenzi” di questo pontefice, sino alla "sgradevole" segnalazione nel museo di Gerusalemme. D’altro canto, si descrive questo papa come vittima di una vasta campagna di disinformazione, una forma di vendetta per la sua posizione molto dura (sino alla scomunica) nei confronti del mondo comunista. Del resto, si calcola che furono 700/800mila gli ebrei salvati dalla Chiesa e da questo pontefice (ho ricavato il numero dalla presentazione di un libro su Pacelli tenuta alla libreria Rizzoli diversi anni fa, in cui Paolo Mieli citava una fonte ebraica: non so come abbiano fatto a contarli tutti, Mieli e la fonte ebraica, ma ammettiamo pure che il dato sia corretto). E allora, silenzioso testimone dell’Olocausto o vittima illustre di un’abile propaganda? Ci sono ebrei che restano immobili nelle proprie posizioni: funzionari addetti alla cerimonia e coinvolti nella vicenda hanno detto allo Ynet che “la storia non si può cambiare, e certe personalità non riuscirono ad aiutare gli ebrei durante l’Olocausto, questa è la realtà. Ci sono nazioni che hanno assunto le proprie responsabilità durante l’Olocausto, e altre che non l’hanno fatto”. Parole dure, ma a senso unico: per dire, che dicono quelli dell' Ynet sul collaborazionismo? Lo metteranno in mostra nel museo di Gerusalemme? Così, giusto per curiosità...
Mah, probabilmente la diplomazia tra Roma e Gerusalemme dipanerà la matassa tra questioni di fede, prove documentate e rocciose teorie. Ma intanto ci vorrà la sopportazione di Giobbe, perché i tempi saranno lunghi, come succede nelle più antiche, immobili burocrazie. E perché le chiese vivono attualmente la loro stagione di micidiale arroccamento. E perché ci vuole pazienza, prima che le dottrine si muovano e si rinnovino, o almeno percepiscano un movimento. Un esempio? A noi viene in mente questa storia.
Il 31 ottobre 1992, a Roma, davanti ai membri dell’Accademia pontificia delle Scienze, papa Giovanni Paolo II riconosce, in via definitiva, che la Chiesa cattolica commise un errore a condannare come eretica la teoria eliocentrica di Copernico espressa da Galileo. Secondo il pontefice, si trattò comunque di un errore ”in buona fede”. Il riconoscimento avviene dopo 376 anni.
Tutto comincia nel 1543, quando viene pubblicato il De rivolutionibus orbium coelestium, il testo con cui il canonico e astronomo polacco Nicolò Copernico spiega la teoria eliocentrica che pone il Sole, e non più la Terra, al centro del mondo conosciuto. Copernico decide di pubblicare quel testo rivoluzionario negli ultimi giorni della sua vita, perché consapevole della tremenda reazione che avrebbe suscitato nella Chiesa.
Galileo Galilei non si cura delle reazioni e va avanti nelle scoperte: il 16 ottobre 1604 formula la legge sul moto dei corpi, che segna la nascita della dinamica, e che diventa la prima legge fisica sperimentata con quello che in seguito verrà chiamato “metodo galileiano”: il criterio induttivo-deduttivo e la conferma con esperimenti riproducibili; metodo che rivoluziona la scienza, e che rappresenta, anche nei nostri tempi, lo spartiacque tra il vero e il falso in ogni ricerca. Questo metodo sperimentale verrà, ovviamente, contrastato dalla Chiesa. Galilei continua le sue scoperte e, nel 1610, individua i primi quattro satelliti di Giove, scopre che la Luna non è liscia, che Giove ha un’atmosfera, che la Via Lattea non è un “fiume nebuloso”, ma è composta da innumerevoli stelle, e che, insomma, la Terra non è un elemento unico nell’Universo. Sono le prime conferme sperimentali della rivoluzione copernicana. Galilei, già condannato dalla Chiesa nel 1616, nel 1633 viene processato dal Santo Uffizio e costretto ad abiurare la teoria eliocentrica.
Dopo 376 anni, viene ammesso l’errore “in buona fede”. In definitiva, si può dire che, dopo quasi quattro secoli, e a 23 anni dello sbarco dell’uomo sulla Luna, la Chiesa cattolica ha finalmente ammesso che la Terra gira intorno al Sole.

Aggiornamento.
Il 30 maggio 2007 il Corriere della Sera pubblica questa notizia: "La notizia ha fatto immediatamente il giro del mondo. Dopo oltre mezzo secolo, nascosto fra milioni di documenti ingialliti dell’archivio giudiziario di Buenos Aires, è venuto alla luce il passaporto rilasciato dalla delegazione di Genova del Comitato Internazionale della Croce Rossa, che per quasi dieci anni ha permesso al criminale nazista Adolf Eichmann di sfuggire alla giustizia e di darsi un’identità falsa, imbarcandosi dall’Italia per l’Argentina. Ma con quali appoggi e con quali complicità? La scoperta del passaporto con generalità false usato da Eichmann - del quale già si sapeva ma che si presumeva distrutto – è dovuta alla perspicacia e al coraggio di una studentessa argentina, Maria Galvan dell’università San Martin (...)".
La notizia è nuova, ma anche vecchia. Ricordando i probabili 700/800 mila ebrei "salvati", ci si dimentica che criminali nazisti come Josef Mengele, Klaus Barbie, Erich Priebke, e lo "specialista" in organizzazione logistica Adolf Eichmann, cioè uno dei principali esecutori dell'Olocausto, passarono da Genova per arrivare, indisturbati, in Argentina, con la complicità di alcuni sacerdoti e della Curia attiva nel salvataggio di "anticomunisti".
Il fatto nuovo è che adesso una ricercatrice ha trovato il passaporto utilizzato da Eichmann. Ma certi giornalisti sono un po' distratti: le notizie su coperture e complicità erano note. Al riguardo, ricordiamo una dettagliata inchiesta pubblicata dal Secolo XIX nel 2003. In quell'inchiesta, si diceva che fu il padre francescano Edoardo Dömöter l'uomo che avallò i dati falsi riportati sul passaporto di Eichmann. In quegli anni, Dömöter era curato nella chiesa Sant'Antonio di Pegli.

Amen.
Nel 1958, la Chiesa condannò Esperienze pastorali, il testo fondamentale della missione sacerdotale di don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana inventore della "scuola degli ultimi", e che qualcuno considera "anticipatore del '68". A chi, anche oggi, chiede la cancellazione di quella stupidissima condanna, il Vaticano risponde che il problema è "superato", dato che l'ex Sant'Uffizio non c'è più.

Il virus dell'intolleranza.
Nel corso di una conferenza stampa a Nuova Delhi, l’attore Richard Gere, testimonial di una campagna anti-Aids (l'India è al secondo posto, dopo il Sud Africa, tra i Paesi al mondo con la più alta diffusione del virus HIV), bacia sulle guance e abbraccia in modo un po’ troppo plateale, perfino patetico, la star di Bollywood Shilpa Shetty. I giornali indiani protestano, i nazionalisti hindu scendono in rivolta con il solito condimento di minacce di morte e bruciano le foto dei due personaggi. Il principale partito di riferimento dei nazionalisti dice che “una cosa del genere non fa parte della cultura indiana”.
Ma quale cultura? Per sapere, invece, che cosa fa parte del fanatismo religioso, e per chi non l’avesse visto, ricordiamo un film di Deepa Mehta: Water. Perdonando qualche ingenuità nella sceneggiatura, lo consideriamo bello, per la fotografia; intenso e drammatico, per lo svolgimento del tema.
Il film è stato presentato in Italia sei mesi fa e racconta di Chuyia, bambina di otto anni nel 1938: una baby-sposa a cui muore il marito e che, in ottemperanza ai rigidi rituali hindu, lascia la famiglia e l’amata madre, per essere segregata in una “casa delle vedove”, una casa-prigione dove - tra perdita delle più semplici libertà, divieti di ogni genere, prostituzione e altri miserabili dolori del mondo - subirà i peggiori traumi, perdendo alla fine l’innocenza.
Secondo un’indagine, nel 2001 si contavano 34 milioni di vedove indiane, e almeno 12 milioni vivevano nelle famigerate “case”. Il film è diventato un simbolo - patrocinato da Amnesty International - della violenza sulle donne, del rapporto tra religioni e società, del fanatismo religioso, o, come sottolinea la stessa regista, del conflitto - con risvolti disumani - tra coscienza e fede. Non a caso, la regista ha dovuto girare sotto scorta per qualche anno, e alla fine si è trasferita in Canada. Dice la regista: “La pratica dell’isolamento delle vedove è ancora diffusa, anche se, per fortuna, di vedove bambine ormai non se ne vedono quasi più e queste pratiche sono concentrate nelle città sacre della religione indù. Ma il problema non è tanto la discriminazione o la segregazione delle donne e basta, quanto il perché gli esseri umani sentano il bisogno di trattare altri uomini o donne in questo modo. Negli Stati Uniti saranno gli anziani, in Australia gli aborigeni, come mi hanno detto dopo le proiezioni. È questo il tema del film: è di questo che vorrei che facesse parlare, insieme al conflitto tra fede e coscienza e, poi, io credo che viviamo in un mondo sempre più intollerante che spesso sfrutta la fede per compiere cose disumane e perché questo estremismo sta rinascendo oggi in tutti gli angoli del mondo e con ogni colore, appoggiato anche da ragioni economiche che sono, poi, alla base di tutto. Delle ragioni per cui Bush va in Iraq e delle ragioni per cui una vedova viene cacciata da casa”.

Ai confini del reality (e dell’Europa).
In Turchia, a Malatya, tre presbiteriani, “accusati” di fare proselitismo tra i musulmani, sono stati incaprettati e sgozzati nella casa editrice Zirve che stampa la Bibbia e altri libri sul cristianesimo.
Si è parlato di barbarie, e la definizione è calzante. È un problema di tolleranza, di mancanza di democrazia e, alla fine, di cultura. Come è noto, la Turchia, che tra 10 anni conterà (si presume) 100 milioni di abitanti, è un paese a larga maggioranza musulmana e vorrebbe entrare nell’Unione europea (tra gli sponsor, ricordiamo Bush e Blair - in questo modo USA e Inghilterra avrebbero un maggiore controllo sulla UE - e il nostro precedente premier, Berlusconi; più cauto, l’attuale presidente del Consiglio, Prodi). Ma, viene da dire, è proprio vero che la Turchia è così lontana, culturalmente, dall’Europa? Abbiamo qualche dubbio al riguardo.
Nella prima settimana di aprile, nella TV di Stato è approdato un nuovo reality, altrimenti definito comedy show, chiamato La Sposa Perfetta: un circo catodico di suocere e nuore in carriera. E così, mentre l’Italia s’interroga sul ruolo della famiglia, va in onda una trasmissione che umilia le donne con un gioco infantile e diseducativo. Difeso nel Giornale di Belpietrino (il sanpietrino preferito da Berlusconi per i suoi lanci d'agenzia), definito da altri, come l’Usigrai, “incivile, ignobile, squallido”. Natalia Aspesi ha parlato di esperimento di televisione malsano e retrogrado che riporta l’Italia indietro di cinquant’anni, azzerando i cambiamenti avvenuti nella società: “Il paese delle suocere televisive pare uscito dalle vignette dell’epoca fascista”. Così la TV di Stato, neanche al tempo del governo di centrosinistra, non pone limiti alla spazzatura. Anche se va detto che RaiDue, la rete su cui va in onda tanto squallore, è ancora diretta da Antonio Marano, sponsorizzato, non a caso, dai leghisti.
Ora, riallacciandoci alla prima notizia, cioè quella del triplice omicidio a Malatya, e a proposito di distanze culturali, varrà la pena ricordare che il format della Sposa perfetta è stato testato e provato in Turchia, prima che approdasse in Italia. Perciò si può dire che, con questo memorabile contributo, la Turchia prepara il suo ingresso in Europa, mentre l’Italia conferma il proprio definitivo allontanamento.

Ma che dolore.
Il papa è stato a Pavia, dove ha incontrato le autorità e 20mila fedeli. E molti giornalisti. Perché se parlare è bene, far parlare di sé è meglio.
Ratzinger ha visitato anche un ospedale, il Policlinico San Matteo: non si conosce l’esito, ma pare che il Policlinico stia bene. Nel suo discorso, il papa non ha rinunciato ai suoi cavalli di battaglia. Innanzitutto la “difesa della vita in ogni sua fase, dal concepimento fino alla morte naturale”, che vuol dire dallo spermatozoo fino al rincoglionimento per vecchiaia. I molti giornalisti non hanno avuto modo di informare il papa tedesco che la difesa della vita insieme a quella dei diritti dell’individuo è ampiamente prevista e rispettata nelle norme del nostro ordinamento giuridico.
Una notizia confortante per i malati è che il dolore purifica. “I disagi e le pene diventano mezzi di purificazione e di redenzione per il mondo intero”, ha detto il papa. Invece, noi crediamo che la notizia sia poco confortante: il concetto di dolore come purificazione viene da una concezione deviata e aberrante della condizione umana, assimilabile a quella del dolore come castigo. Nell’Antico Testamento, Dio si rivolge alla donna che ha peccato con queste parole: “Moltiplicherò le tue pene e avrai i figli nel dolore” (non differente la visione del Corano, dove la mancanza di fede è colpita con “castighi dolorosi”). E così, per ignoranza, in Italia il dolore è spesso accettato quale sintomo inevitabile. Anzi, è diffusa la concezione, complice la tradizione cattolica, secondo cui la sofferenza avvicinerebbe l'uomo a Dio e perciò lo renderebbe più forte. Superstizione puntualmente evocata dal papa, nel suo intervento a Pavia.
L’Italia è ultima in Europa nella lotta al dolore. Secondo uno studio di due anni fa sui malati terminali di tumore, risultava che soltanto il 9 per cento dei pazienti riceveva cure antidolore, con alcune eccezioni: come nel Friuli, dove esiste un importante centro di riferimento oncologico, ad Aviano, in cui viene applicato un modello di cura che passa attraverso una visione “laica” della terapia del dolore, con trattamenti liberi da pregiudizi e falsi scientifici. Si pensi soltanto agli errati convincimenti circa la morfina e i suoi derivati; alla confusione nella distinzione tra sostanze stupefacenti e principi finalizzati alla terapia del dolore; alle complesse procedure per l’accesso alle terapie, che creano difficoltà materiali e morali inconcepibili in un paese civile; al divieto di contemplare, tra le terapie, medicinali come quelli derivati dalla cannabis, soltanto perché un Fini, un Gasparri o un Giovanardi li confondono con lo spinello.
Ma il pregiudizio non si abbatte soltanto sui terminali di cancro. Il 14 per cento degli italiani soffre di dolore cronico persistente, e i farmaci antidolore più usati in Italia sono gli antinfiammatori, con costi 10 volte superiori a quelli degli oppioidi e un rischio molto alto di tossicità. Eppure, secondo gli esperti, la morfina e i suoi derivati si prestano bene al trattamento del dolore cronico, essendo efficaci e relativamente maneggevoli. Tanto che la morfina è assimilabile agli altri farmaci salvavita e si dice che non dovrebbe mancare tra i farmaci che il medico porta con sé nella sua borsa (eppure, sino a poco tempo fa, un’infermiera poteva essere arrestata per il possesso e la somministrazione di questi medicinali).
Per quanto riguarda il resto dell’Europa, lo studio e il trattamento del dolore sono riconosciuti come specializzazione da un solo Paese europeo, la Svezia, e si calcola che gli europei laureati in medicina abbiano dedicato durante il periodo degli studi solo cinque ore alle tematiche del dolore. Ma in questo quadro non esaltante, l’Italia, dove il dolore condiziona la vita di due malati su tre, si trova ai margini, all’ultimo posto. Secondo il presidente di Federfarma, “bisogna promuovere la cultura della lotta contro il dolore, perché in Italia, malgrado i forti progressi degli ultimi anni, le terapie oppiacee sono scarsamente utilizzate, molto meno che negli altri paesi europei e in maniera non omogenea nelle diverse strutture sanitarie". E Umberto Veronesi: “A mio giudizio, la lotta contro il dolore è l'obiettivo più importante che deve porsi la scienza medica ed è la richiesta che la società civile deve mettere all'ordine del giorno".
I farmaci antidolore avvicinano più serenamente alla morte, ma, come dice il papa, la sofferenza avvicina a Dio. Sarà vero? Il vecchio giornalista Enzo Biagi, dopo la sua cacciata dalla Rai in seguito al noto editto bulgaro di Berlusconi, è tornato in televisione, anche se confinato su RaiTre e a tarda notte. Nella seconda puntata del suo rotocalco televisivo, Biagi ha intervistato il chirurgo e oncologo Veronesi. Il giornalista ha fatto una domanda curiosa; ha chiesto, sulla base della lunga esperienza dell’oncologo: chi affronta più serenamente la morte? E l’oncologo ha dato una risposta secca e sorprendente: il laico. Crediamo che ogni famiglia italiana abbia in qualche modo sperimentato il dramma di un malato terminale, o di un malato sottoposto a gravi sofferenze, e che perciò sia in grado di giudicare tra la netta esperienza di Veronesi e i primitivi pregiudizi e la superstizione di Ratzinger. E tra i due estremi si trova una signora. È il ministro della Salute e si chiama Livia Turco. Alle terapie del dolore aveva accennato appena insediata con il nuovo governo. Poi più niente. Non si sa bene cosa faccia e di che cosa si occupi. Forse dorme. Forse, dalla terapia del dolore è passata alla terapia del sonno.

Aggiornamento.
La buona notizia è che il DM del 18 aprile 2007 ha portato qualche novità: gli analgesici oppiacei possono essere prescritti per il trattamento severo indipendentemente dalla sua natura. Con lo stesso decreto, si rende possibile l'utilizzo dei medicinali cannabinoidi nella terapia farmacologica (terapia del dolore, sclerosi multipla). La cattiva notizia (che, di fatto, ridicolizza la precedente) è che... l'immissione in commercio nel mercato italiano non è stata ancora autorizzata, perciò questi farmaci non sono reperibili nelle farmacie aperte al pubblico. Né si sa se e quando questi farmaci, diffusi in altri stati europei, verranno immessi. Forse si attende l'autorizzazione definitiva di Giovanardi o del parlamento dei vescovi?
Apprendiamo anche un'altra notizia. Come è noto, commissioni speciali e comitati di varia natura costano ai cittadini milioni di euro. Ogni nuovo ministro che si insedia, ne crea di nuovi, che si sommano a quelli vecchi, con una moltiplicazione perversa e praticamente inarrestabile. Molti di questi comitati, esaurita la loro primitiva funzione, sono inutili. Rispettando la tradizione, anche la signora Turco ha creato delle nuove commissioni. Però ci chiediamo a cosa serva un comitato di verifica dell'assistenza sanitaria: per sapere quello che sanno tutti, ma che forse sfugge al nostro ministro? Per sapere come va il nostro SSN, non serve pagare gettoni di centinaia di migliaia di euro a qualche esimio professore: basta che la signora Turco telefoni - come normale cittadino, non come ministro - a una struttura pubblica per prenotare un esame diagnostico. E scoprirà che un comune mortale dovrà aspettare due mesi per un'ecografia o per una risonanza magnetica; che una donna non sarà in grado di fare prevenzione, e il suo medico non sarà in grado di fare una diagnosi certa e veloce, perché dovrà attendere due mesi per una mammografia e due mesi e mezzo per un'ecografia transvaginale. Tempi che si accorciano - e questa è la notizia criminale - a pochi giorni di attesa, massimo una settimana, se quegli esami vengono effettuati privatamente, cioè pagando l'intera somma, nella stessa struttura, con le stesse macchine, con gli stessi medici. Certo, la colpa non sarà dell'attuale ministero per la Salute, ma ricade soprattutto sulle regioni (nessuna esclusa, a cominciare dalla grassa Lombardia di don Formigoni caratterizzata da una sanità ad alta densità cattolico-ciellina, e dalla cinica Milano della sua collega Moratti).

Miracolo a Roma.
In piazza San Giovanni, a Roma, si è svolto il Family Day, fortemente voluto in inglese e non in latino dai vescovi e sotto la supervisione organizzativa dell'ex sindacalista cattolico Pezzotta, che adesso si è montato la testa e crede di essere Lech Walesa. La manifestazione serviva per spingere l'ingerenza vaticana a una vera e propria prova di forza con lo Stato laico e soprattutto con il governo Prodi. Gli organizzatori hanno detto con entusiasmo: "Siamo più di un milione, un milione e mezzo!". La rivelazione è stata accolta con vera soddisfazione, perché era da tempo immemorabile che un vescovo non faceva un miracolo. Perché di vero miracolo si tratta, dato che la piazza, in condizioni non metafisiche ma normali, può contenere, bambini compresi, non più di 60.000 persone. (Dettaglio insignificante, comunque, per chi crede che sia possibile camminare sull'acqua o moltiplicare i lucci e le trote).

Il mezzo apostolico.
A quattro giorni dall'addio a Downing Street, il primo ministro inglese Tony Blair si trova a Roma, dove è stato ricevuto in Vaticano da Papa Benedetto XVI. Ma non si tratta di un impegno meramente diplomatico. Influenzato dalla moglie, cattolica praticante, e sotto la guida spirituale di John Walsh, cappellano della Royal Air Force, il leader britannico sembra prossimo alla conversione. Secondo indiscrezioni, nel colloquio con Papa Ratzinger saranno trattati i temi concreti legati alla conversione, come il battesimo, la comunione e la cresima, che Blair dovrà ricevere. Ma è difficile pensare che Blair, a giorni disoccupato e in cerca di nuova attività, si sia recato a Roma soltanto per ricevere delle informazioni che può trovare in qualsiasi opera generalista come, per esempio, l'Enciclopedia Britannica, oggi disponibile anche su CD-ROM.

Il fattore H.
Quando, nella formazione del governo di centrosinistra, venne preferito a Rosy Bindi per il ministero dell’Istruzione, la stessa Bindi dichiarò al telegiornale: “Evidentemente Fioroni porta più tessere di me che ho solo la mia e quella di mia madre”. È una delle vergogne degli elettori di sinistra, che si interrogano: “Ma che gente abbiamo mandato al governo?”. È un ex medico di Viterbo (dove è chiamato “Beppe er bucìa”), ipercattolico, scout dell’Agesci, catapultato dal tinello democristiano in un settore vitale come quello della scuola, scelto sulla base delle sue specifiche incompetenze e di una “preparazione” che, se c’è, si trova in farmacia. Perciò gli elettori di sinistra lo chiamano “ il fattore H”.
Il fattore H è la medicina ideale per lenire i bruciori delle curie, un simbolo dello stop alla secolarizzazione e della rottamazione di una scuola pubblica ormai incapace di affrontare le sfide mondiali del Terzo millennio, processo iniziato con i suoi predecessori della destra berlusconiana, da D’Onofrio a Moratti (beh, non è che la stridula Iervolino abbia lasciato un ricordo migliore in questa distruzione di massa: ricordate quando, come ministro dell'Istruzione, dispose il ritiro di un fumetto Anti-Aids di "Lupo Alberto" che informava gli studenti delle scuole superiori sulle modalità di uso del preservativo, suscitando un mare di polemiche? Gli studenti di quel tempo la chiamano ancora Rosetta Fahrenheit 451).
Il fattore H è il teorico del controllo preventivo della Rete, che auspica la censura in vigore nella Repubblica popolare cinese, ma “con altri fini”, dice lui. Che confonde un motore di ricerca come Google con una testata giornalistica, promettendo, con un proclama delirante, “una legge che sia di esempio per il mondo”, e che, invece, ha fatto ridere mezzo mondo, dimostrando un’ignoranza in materia informatica e mediatica senza uguali.
Il fattore H è il teorico delle telecamere di controllo nelle scuole. È l’autore del rimaneggiamento unilaterale dello “Statuto delle studentesse e degli studenti”; il fautore, con la scusa del “bullo” (per cui, da che mondo è mondo, esiste l’autorità giudiziaria), del sette in condotta come censura delle libere opinioni, definito non a caso “arma” e che diventa un potente e pervasivo strumento di controllo delle rivendicazioni studentesche. È quello che ha assunto altri 60.000 dipendenti nella scuola, cioè in un settore di quel pubblico impiego bulimico e iperprotetto, ottima base per clientele e scambi elettorali dai tempi della vecchia DC. Coltiva un abnorme culto della mezza personalità, tanto che recentemente ha usato la tv per un messaggio registrato agli italiani, privilegio sinora concesso soltanto al Capo dello Stato. Il suo blog è stato invaso da commenti che contenevano link conducibili a siti pornografici: soltanto dopo una valanga di sdegnate proteste, il ministro si è preoccupato di oscurare il suo sito.
Ora, c’è una novità. Il fattore H ha trasformato l’ora di religione in materia a tutti gli effetti. Con un’ordinanza del suo ministero, l’ex segretario della democratica cristianità viterbese delibera che “i docenti che svolgono l’insegnamento della religione cattolica partecipano a pieno titolo alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento”. Ciò vuol dire che questi “docenti”, questi personaggi reclutati sino a ieri tra le beghine e nominati dalla curia ma pagati fior di quattrini dallo Stato laico, parteciperanno agli scrutini e potranno valutare la preparazione degli alunni. La mossa del fattore H, che rappresenta un’ulteriore offensiva del Vaticano contro lo Stato laico, è stata definita scandalosa. Oltre che discriminante nei confronti degli studenti refrattari alle genuflessioni. Tanto che molte associazioni del mondo laico, ebraico e cristiano non cattolico hanno chiesto al presidente Prodi di intervenire sulla questione “grave e imbarazzante”, e nei confronti di un ministro che ha introdotto surrettiziamente, che poi vorrebbe dire con il piglio di un pacioso ducetto, “l’ora di religione fra le materie che concorrono a pieno titolo a formare la valutazione degli studenti per gli esami di Stato”. C’è da credere che le richieste resteranno inascoltate, almeno sino a quando il Professore non scenderà dalla bicicletta. Evento che, a questo punto, gli elettori di sinistra auspicano con tutto il cuore.

Sbagliare direzione.
Molti imam sauditi hanno scoperto, con l’aiuto di Google Earth, che le loro moschee non sono in direzione della Mecca. Gli architetti che hanno costruito i luoghi di culto avrebbero in realtà commesso una serie di errori nell'erigere le costruzioni. Errori gravi, perché il musulmano, quando prega, è infatti obbligato a rivolgersi verso la Mecca. Però il ministero saudita per gli Affari islamici ha detto che gli errori non sono poi così gravi da inficiare la validità della preghiera. Anche se resta il dubbio per tutti i musulmani che in questi anni hanno pregato, per dire, in direzione San Marino, San Quirico d’Orcia, San Remo, Santa Margherita o addirittura Cattolica.


Banduleri