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Diario di un adolescente quieto

Gli americani troppo presto, gli italiani troppo tardi.
Steve Jobs ha detto: "Si guarda la TV per spegnere il cervello, si lavora al computer per accenderlo".
Se la TV è, oggi, quello che era, ieri, la letteratura, che ne pensa la mia prof di italiano? E, soprattutto, che ne pensa quel gran genio del ministro Fioroni che ha detto "più italiano e geografia, meno inglese e informatica nelle scuole"?

Ritorno a scuola.
Finite le vacanze. È arrivato settembre e si ricomincia. Novità? Piuttosto, sembra di ritornare indietro. Fioroni ripristina il sette in condotta e gli esami di riparazione. Gli insegnanti di religione (cattolica) scelti dalla curia parteciperanno agli scrutini e il loro giudizio peserà. Il ministro dice anche più italiano e sintassi, geografia e matematica. Basta Internet, informatica e inglese. Il ministro innovatore intende così "avvicinare l'Italia al resto dell'Europa": del resto, come trascorrere una settimana a Londra se, dato un qualunque numero intero, non è facile stimare immediatamente da quante cifre è composta la parte intera della sua radice quadrata e qual è la sua prima cifra?
P.S. Informatica a scuola? Mai vista.






















Post precedenti (2006-2007):


Compromesso storico.
Anche quest’anno, a scuola, ci prepariamo all’autogestione. È un evento naturale, come la pubertà o il cambio delle stagioni. È un po’ come evocare il sessantotto, ma dura poco, una settimana. È difficile spiegare che cos’è l’autogestione e perché la facciamo e perché ce la fanno fare. È una specie di “fate un po’ quello che volete ma vedete di non rompere troppo le balle”.
Noi comunque l’autogestione la facciamo spesso quando vogliamo noi. Per esempio i primi anni facevamo macedonia con la prof in classe, quando, verso la sesta o la settima ora di lezione, ci annoiamo da morire e stiamo per cadere in catalessi. È una specie di mormorìo della vita moderna, e funziona così. Prima di tutto ognuno si sceglie un frutto, tipo banana, fragola, eccetera. Stabiliti i nomi, uno sussurra, che so: “Banana”. A quel punto il Banana si deve alzare in piedi. Si prosegue con Fragola, Pera, Mela, Mango, e così via. Ci si alza con qualche scusa, e ci si risiede, tra le perplessità della prof. Perplessità che sconfinano nella disperazione quando, al grido di “Macedonia!”, i vari Banana, Fragola, Pera, Mela, e tutto il reparto ortofrutta dell’Esselunga, si alzano tutti in piedi. Poi la cosa finisce lì, senza morti e feriti.
Però ogni anno è la stessa storia. Arriva l’autogestione: che si fa? Abbiamo fatto un’assemblea e un gruppo ha proposto un incontro con i gay. Qualcuno ha replicato: sì, va be’, ma che c’entrano i gay? E loro: allora fate altre proposte. E gli altri: insomma, se vogliamo fare qualcosa di creativo, che so, invitiamo qualche architetto, cinematografari, fotografi, qualche grafico, un designer... Al limite qualcuno che lavora nella moda o nella pubblicità.
Alla fine quelli dei gay e gli altri si sono messi d’accordo e hanno deciso di invitare uno stilista.

I cortili segreti di Milano.
Ho un amico che si chiama Marzio. Ieri Marzio mi ha raccontato un po’ della sua vita. Dice che da bambino aveva un cugino più grande che lo portava spesso con sé. “Vieni, accompagnami in una casa”, diceva. E non capiva perché suo cugino andasse in un sacco di case e fosse così appassionato di architettura.
Adesso che Marzio ha diciassette anni e che, se ha bisogno di un ricambio per il motorino, ci pensa sempre suo cugino a trovarglielo, Marzio ha capito perché suo cugino conosceva tante strade e tante case di Milano.
I cortili di Milano sono belli. A volte hanno dei segreti nascosti, come opere d’arte, bellissimi giardini, e a volte anche dei cinquantini.

Maggiorati americani e minorati italiani.
La Wilkes University è un campus universitario della East Coast immerso nel verde di una cittadina americana, a due ore da Manhattan e Philadelphia. Roba per ricchi americani.
La Wilkes University ha reso noto che farà uno switch totale da PC a Mac: aule, attrezzatura per insegnati e professori, i server, tutti i computer installati all'interno del campus, nelle stanze degli studenti e nelle aree pubbliche saranno Apple.
Il passaggio alla piattaforma Apple sarà completato in circa tre anni, richiederà un investimento di 1,4 milioni di dollari e permetterà la sostituzione totale di 1700 computer PC con altrettante postazioni Mac. L'obiettivo è quello di offrire agli studenti i migliori strumenti per affrontare gli studi, un singolo computer per sfruttare la facilità d'uso e la tecnologia Mac senza rinunciare ai numerosi applicativi Windows in circolazione.
Scott Byers, vice presidente area finanza e consigliere generale dell'università (che poi è come il nostro direttore amministrativo), ha detto: "I Mac sono costruiti con tecnologia e hardware superiori, inoltre la loro abilità di far girare anche Windows significa che abbiamo accesso a qualsiasi programma disponibile per Windows. Stiamo rendendo più efficienti il lavoro e l'apprendimento. Si tratta di un piano di rinnovamento tecnologico aggressivo che garantirà agli studenti e allo staff l'accesso alle più recenti tecnologie. Stiamo anche creando un network IT virtualmente privo di virus".
Il preside dell'università, Tim Gilmour, ha spiegato i benefici della nuova piattaforma: "L'esperienza con i più avanzati computer oggi disponibili garantirà un vantaggio ai nostri studenti quando entreranno nel mercato del lavoro, che richiede conoscenze tecnologiche sempre superiori".
Nella mia scuola, tre anni fa, abbiamo pensato di fare un giornale. Ci hanno detto: “Interessante, parlatene con il direttore amministrativo per vedere se vi può finanziare”. Abbiamo fatto un piccolo preventivo e siamo andati a parlare con il direttore amministrativo, un tipo con il vestito grigio e le scarpe arancioni che sembra la caricatura di Guzzanti quando fa il venditore di quadri alla televisione. Gli abbiamo detto che ci serviva un computer Apple, che è il meglio per la grafica. Lui si è messo a urlare: “Apple? Ma non serve a un ca...zo!”. Un vero intenditore. E anche fine. Così non si è fatto più niente.
A scuola abbiamo qualche computer vecchio. Ogni anno, quando inizia la scuola, ci dicono: “Portatevi il mouse da casa”.

Chiamate l’ambulanza, per favore.
Noi avevamo una prof di matematica che era un po’ fuori di zucca. Infatti nella nostra classe non è durata molto. Gira spesso con un borsone nero con il simbolo di Emergency. I primi tempi pensavamo che fosse la cassetta del pronto soccorso.

Meglio poveri che ricchi?
Eurogruppo (i ministri dei 13 Paesi che condividono la moneta unica) invita alla moderazione nella crescita delle retribuzioni. Secondo i ministri delle Finanze europei è giusto che i lavoratori dipendenti ricevano una quota degli utili in rialzo delle società, ma un'eccessiva ridistribuzione porterebbe a un aumento dell'inflazione e a un danno per tutti.
Mia nonna è molto generosa e credente, però crede anche alle cose che dice la televisione. Sabato è andata a messa, era molto preoccupata e ha lasciato il suo contributo nella cassetta delle elemosine, ma era un foglietto bianco: “Stavolta non lascio niente perché sarebbe un danno per tutti”.

Il senso della misura e del sedere.
Arriva marzo, ed ecco il Festival di Sanremo, che è cominciato, ed è già finito, con la polemica sul compenso milionario per la partecipazione al Festival di Michelle Hunziker.
La polemica: l’ultima Finanziaria varata dal governo metteva un tetto alle retribuzioni dei dirigenti pubblici esterni e dei consulenti di ministeri e società pubbliche non quotate, come la Rai (le retribuzioni non possono essere superiori a quella del primo presidente della Corte di Cassazione, pari a 272 mila euro l’anno), ma la retribuzione della intrattenitrice svizzera superava ampiamente questo tetto, perciò il ministro della Funzione pubblica e dell’Innovazione, Nicolais, è intervenuto per escludere la Rai da quest’obbligo, salvando il Festival. E la Hunziker. E il suo milione e passa di euro.
Io ho visto un po’ di Festival. E anche la svizzerotta che cercava di cantare e di ballare imitando Liza Minnelli, che sembrava Fiorello quando da bambino imitava Raffaella Carrà. Ho visto anche quando è caduta mentre camminava sulla passerella, di lungo, come nei cartoni animati di Gatto Silvestro. Dice che da giovane ha studiato danza per otto anni. Sarà.
Un milione di euro. Minchia. Noi a scuola non abbiamo neanche i soldi per tinteggiare le scale, che sembra Beirut, altro che ballare. Be’, se è vero che ha cominciato la carriera prestando il proprio sedere per la pubblicità della lingerie Roberta, con questo milione di euro incassato a Sanremo in cambio di qualche mossetta e grazie all’intervento del ministro, non mi viene altro da dire: che culo.

Il mistero dell’Innovazione.
E dopo il ministro Nicolais, ecco un’altra grande innovatrice. L’ho trovata tra i “personaggi” in un giornale femminile. Ho letto l’intervista. La signora si chiama Magnolfi ed è sottosegretario del ministro di cui sopra. Ammette l’esistenza del “divario digitale” che divide l’Italia dai paesi europei più avanzati. Parla di diritti e doveri della rete, facendo un po' la maestrina. Dice che, in Italia, di banda larga ce n’è pochina, ma non dice che quella italiana ci costa il triplo rispetto a Francia o Germania, senza che nessuno ponga un limite all’avidità bavosa delle nostre compagnie telefoniche. Non commenta il fatto che il suo collega ministro Gentiloni abbia messo in Finanziaria un incentivo per l’acquisto dei televisori digitali, come se l’abbondanza di televisori in Italia fosse un segno di innovazione, non di regressione. Di incentivi per l’utilizzo del computer e della banda larga, non parla. Si lamenta del fatto che la percentuale delle casalinghe e dei pensionati che usano Internet sia bassina. Per rinnovare il Paese, il sottosegretario conta su queste due categorie fondamentali per dare al paese ciò che gli manca: sviluppo, ricerca, produttività.
E i giovani? Che invecchino.

I mistero dei Giovani.
Comunque, ho scoperto che c’è un ministro che dovrebbe occuparsi dei giovani, è anche lei donna e si chiama Melandri. Che cos’è? Un ministero per le Politiche giovanili e per le Attività sportive. “Un ministero senza portafoglio ma non senza idee”, dice orgogliosamente la ministra. A cui vorrei ricordare che nel nostro liceo manca la palestra, ma non ci manca qualche accenno di scoliosi.
Anche lei vuole “il recupero del digital divide” (divario digitale), e lo dice in inglese perché nella sua biografia dice che è nata a New York, che non è come nascere all’Ortica, Milano. La Melandri è membro della Direzione nazionale e della Presidenza dei DS e vuole “ampliare gli orizzonti delle opportunità dei giovani”. Dopo nove mesi di governo, non si sa bene che cosa abbia ampliato. Anzi, una cosa l’ha fatta. Ha messo la sua firma, insieme a quella del ministro Nicolai, nella lettera inviata ai ragazzi che compiono 16 anni, e che serve a beneficiare di un contributo di 175 euro (se Padoa Schioppa metterà i soldi) per l’acquisto di un computer. Peccato che la lettera e l’idea fossero del precedente ministro, quello di destra, che non avrà combinato niente di buono ma almeno questa cosa l’ha fatta. È uguale, ugualissima, alla lettera che avevo ricevuto anch’io. Loro non hanno cambiato neanche una virgola. Ma hanno tolto la firma del collega precedente e hanno messo la loro firma. In basso. A sinistra. Naturalmente.

La ministra seriapositiva.
Questa l’ho letta da Toni il mio parrucchiere. Premessa: Briatore, che mi sembra di mestiere faccia “il manager della Renault”, che non so bene cosa voglia dire, e che ha un locale famoso in Costa Smeralda che ha il nome del contenuto di un caveau alle Cayman, locale frequentato da molti vip, nani pelati, zoccole ergonomiche e sandali al sole, e che molti giovani italiani vorrebbero come zio, perché si favoleggia che abbia una casa sfarzosa, dove alle finestre non ci sono le tende, ma le veline.
Comunque. Dice che la ministra Melandri (sì, ancora lei, quella del “digital divide”) è stata a casa sua a Malindi in Kenya. Ma la ministra ha smentito piccatamente dicendo che non c’era mai stata, no e poi no, anzi “absolutely no!”, perché come sanno tutti è nata a New York e parla inglese praticamente dalla nascita. Però è stata subito smentita da altri premi Nobel, come Rossella del TG5 che anche lui parla inglese, e Simona Ventura, che anche lei parla ma non si sa mai quel che dice, che giurano di averla incontrata, invece, un sacco di volte, e che l’ultima volta l’hanno vista con il caffetano, alle prese con una danza scatenata, forse un rito propiziatorio. E hanno fatto pure le foto. Infatti era tanto scatenata che la foto è venuta mossa.
Lei, la ministra, ha avuto una crisi di pianto (“cry”, in inglese), e ha detto che da anni va in quel “dolente paese” come “turista consapevole”, e che addirittura da tempo partecipa a due esperienze (“experiences”) a favore di bambini (“childrens”) sieropositivi. E altro che caffetano (“coffee”, in inglese): lei sì che è una persona seria. La ministra seriapositiva.

Il ministro Fioroni, il TG5 e lo strano fenomeno del brullismo.
Il ministro Fioroni ha detto che il bullismo nelle scuole è un problema serio, ha parlato di “emergenza del vivere civile”, perciò ha annunciato un piano contro il bullismo e ha offerto due milioni di euro per una campagna contro la violenza, come se gli opuscoletti possano salvare le coscienze. Mi chiedo: fossero stati soldi suoi, li avrebbe spesi?
L’altro giorno il TG5 ha riportato la notizia dell’aggressione dei genitori di due ragazzi a un preside in una scuola media nella, diciamo così, “difficile” periferia di Bari, e il telegiornale ha parlato di “emergenza nazionale”.
Emergenza? Secondo me sono fuori di testa. Se devo essere sincero, io non me ne sono accorto. Frequento una scuola normale, ne strafiga né rozza. Insomma normale. Certo, qualcuno che vive sopra le righe c’è, e persino qualche mafiosetto, e qualcuno con la lama in tasca, e qualcun altro che forse spaccia, e i rozzi che fanno branco per trovare quel coraggio che gli è venuto a mancare dalla sala parto in su. Ma non sono quattro pirla che fanno un’emergenza: "fenomeno" è un complimento che i quattro pirla non meritano, semmai li esalta. Dice il preside che è stato aggredito, e che mi sembra che abbia cervello da vendere: “Il rapporto con i ragazzi è molto buono, affettuoso. Anche con la gran parte dei genitori le cose funzionano. Alcuni di loro, certo, sono particolari. Il quartiere lo conoscete. Ci sono famiglie che hanno comportamenti che si riflettono negativamente sui figli”.
Appunto. Non credo che Bari sia così diversa da Milano. Se vogliono migliorare la scuola, migliorino le città, i quartieri, gli spazi, le strade. La scuola rispecchia l’esistente. Quello che ci trovo dentro la scuola ogni mattina, lo trovo la sera per strada. Buoni e cattivi, stronzi e gente giusta. E se fuori il paesaggio è brullo, e a Milano lo è veramente, quel paesaggio lo hanno fatto gli adulti, né la scuola può inventarsi di meglio. Sì, a Milano il paesaggio è brullo. Triste. Con il sindaco in tailleur e i baraccati con le pezze nel sedere. Arido. Dove ogni cosa ha un prezzo e costa cara, che se un ragazzo vuole vedere una mostra deve buttare via una settimana di paghetta. Soffocante. Con il benzene a mille. Retrogrado. Bilioso e arrogante. Angosciato e indaffarato. Con il telefonino all’orecchio e via col rosso. Egoista. Brullo.
Caro ministro, venga a Milano che la porto un po’ in giro, e vedrà che la vera emergenza nazionale non è un branco di rozzi o gli spintoni di due genitori mafiosi in libera uscita: la vera emergenza è il brullismo.

Chanel.
Dice: “Mi sono rotto di andare in discoteca. Tanto, se ci vado, ogni volta finisce a botte. È pieno di tamarri. Dice il tamarro: cosa tocchi? Che vuol dire cosa tocchi, è chiaro che col casino di gente che c’è siamo tutti pressati come sardine, per forza ti tocco. E quello ha insistito a rompere. E allora gli ho detto: guarda, non ti sputo che ti profumo”.

E la Moratti fa la brulla.
E anche la signora Moratti parla di emergenza. Ma più che un’emergenza, descrive un vero inferno.
Le cose sono andate così. La sindachessa si sveglia di colpo e invita i milanesi a scendere in piazza e manifestare. Lo fa con una lettera aperta. (Che di per sé è una buona cosa, perché se fosse stata chiusa avremmo pagato di tasca nostra, con quel che costa l’affrancatura). E dice: “Scendiamo nelle strade di Milano e chiediamo al governo di impegnarsi subito per ritrovare una città nella quale vivere liberi dalla paura. In strada, insieme, per la sicurezza”. E poi: “Basta con la prostituzione, lo spaccio, la violenza sulle donne, le occupazioni abusive, le rapine, i maltrattamenti ai bambini, il degrado, le sopraffazioni da parte di immigrati irregolari, le truffe agli anziani”.
Il quadro è bestiale: ne viene fuori una città malata, degradata, incurabile. La capitale immorale d’Italia. Ma saranno i cinquecento poliziotti in più chiesti dalla Moratti a curare il degrado e le “truffe agli anziani”?
Noi che andiamo a scuola, la Moratti, purtroppo, ce la ricordiamo bene. Non ha un’aria intelligente, a mio modesto parere, e a volte assume persino delle espressioni alla Stan Laurel. Ma è furbissima. Sa cosa vuol dire far leva sul terrore e la paura.
Il Viminale ha risposto dicendo che aprirà nuovi commissariati e invierà altri cento uomini, ma ha anche sottolineato che il contrasto al crimine nel territorio già prevede 11mila 278 uomini, con una media di una unità ogni 162 abitanti, contro una media nazionale di 250.
Il dato fornito dal Viminale è sorprendente, e, a questo punto, viene da chiedersi: che vuole la signora Moratti? Poi mi ricordo che la Moratti, signora matura, ha ancora la “tata”, che le sceglie il tailleur da indossare ogni mattina. E ho capito: la sindachessa vorrebbe dare una “tata” a tutti. Neanche un poliziotto di quartiere, come aveva promesso il suo mentore Berlusconi (che è un vero talent scout ad ampio spettro: dalla Carfagna, alla Moratti, alla Gardini, sono molti i suoi successi). No. Un poliziotto di condominio, di pianerottolo, di appartamento. Un poliziotto in famiglia, magari prodotto dalla Rai, così lo paghiamo direttamente col canone.
L’appello del sindaco di Milano ha ricevuto consensi tra la destra, e dissensi tra la sinistra, che l’ha definita “Masaniello”. In realtà, il sindaco non si rende conto che, con i propri proclami, descrive una capitale immorale e, insieme, denuncia la dabbenaggine della sua e delle precedenti amministrazioni. Perché nel suo quadro infernale viene fuori non tanto un problema di illegalità diffusa, ma un deficit culturale. E forse ha ragione Moni Ovadia quando commenta: “Milano è stata ridotta a uno schifo da anni di governo della destra”. Di cui la signora Moratti è stata ed è un fiero rappresentante.
Perché, diciamolo chiaramente, se la prostituzione avanza, è perché ai milanesi piace investire i propri dané nel settore e perché gli piace pagare per soddisfare in fretta le proprie voglie. Se la violenza a donne e bambini è così diffusa, è anche perché si fonda sull’insensibilità e sull’indifferenza del prossimo: io, da bambino, non potevo giocare nel cortile di casa, perché il condominio diceva che i bambini "disturbano". Certo, i bambini danno fastidio, in questa Milano sempre più indaffarata, pragmatica, sempre meno gentile, sempre meno solidale. Poi dicono che la droga avanza. E vorrei vedere. Se lo spaccio avanza, è perché la coca piace sempre di più ai milanesi. E il degrado? Non è solo morale. Milano continua a svilupparsi, fisicamente, urbanisticamente, a colpi di speculazione, di mancanza di spazi per i giovani, di mancanza di omogeneità. Nella Milano al tempo del neofascionismo, l’architettura e il decoro urbano raggiungono la propria magnificenza nei sassolini di fiume che decorano i nuovi spartitraffico. Ma che tristezza.

La notte e il giorno.

Aggiornamento, sempre in tema di Masaniello Moratti, il sindaco che vuole portare in piazza i cittadini milanesi perché lo Stato garantisca un body guard per tutti.
La signora Moratti ha portato, nella trasmissione di Giuliano Ferrara, due borsoni Vuitton pieni, a suo dire, di lettere di cittadini che le chiedono più “sicurezza”: questi erano i suoi "dati oggettivi". Ma se nella trasmissione ci fossero stati dei giornalisti, avrebbero rischiato lo scoop frugando nelle lettere per analizzare definitivamente le presunte paure dei grafomani milanesi (altro che grafffitari: non c’è niente di peggio di una vecchietta rancorosa che quaglia la propria depressione metropolitana peggio di uno yogurt scaduto). E così avremmo capito definitivamente la differenza tra il giorno e la notte, tra carta canta e carta straccia.
Dell’iniziativa della Moratti si è già detto: un pretesto dell’opposizione di destra per montare lo scontento nei confronti del governo di centrosinistra, partendo dalle grandi aree metropolitane del nord. Altro che sicurezza. Tesi, peraltro, confutata da fonti autorevoli.
Nella relazione annuale del difensore civico, Alessandro Barbetta, si fa riferimento al degrado della città, che è colpa del Comune, non di Al Capone: “Il cittadino non ha denunciato fatti costituenti reato né chiesto interventi per reprimere la criminalità (...). Ha esternato disagi dovuti a condotte non conformi alle regole del buon vivere (...). Buona parte delle persone ha dimostrato demoralizzazione e sfiducia di fronte a inadempienze quotidiane della polizia locale (...)”. Cioè del Comune. Punto.
Ma un’altra opinione veramente autorevole è quella del comandante regionale dei carabinieri, che parla con cognizione di causa, cioè da tecnico, e a cui credo, senza ombra di dubbio: “Il sistema della sicurezza in Lombardia si può ritenere soddisfacente: i dati dimostrano un tendenziale decremento dei reati”. Semmai: “Per migliorare la percezione di sicurezza dei cittadini sono necessari interventi nelle aree dismesse e nei quartieri, migliorando l’illuminazione (...)”.
La signora Moratti ha avuto un’illuminazione, ma la città si è spenta. Ma perché il sindaco Moratti ha voluto dipingere una città da incubo? Ho trovato la risposta in un pezzo di Colaprico sulle pagine milanesi di Repubblica: “Letizia Moratti comincia ad accreditarsi come la nuova terapia d’ossigeno per rianimare, non solo Milano, ma l’intera Italia. E nel caso di elezioni anticipate, con Silvio Berlusconi che potrebbe non essere candidato premier, eccola pronta a bere il calice”. Cioè si è messo in moto un meccanismo politico, basato, come succede più spesso, su dati oggettivi manipolati, falsi: un autentico bluff.
Mi piacerebbe tanto che la mia città venisse amministrata da veri amministratori, non da brokers finti manager, né da incapaci, né da giocatori di poker in tailleur color crema.

Il postfascista decorato.
Il vicesindaco pugliese di Milano, Riccardo De Corato, firma un petizione che propone un servizio di vigilanza contro writer e graffitari. Dice il vicesindaco di Adria, esponente di Alleanza Nazionale, che se non sbaglio (chiedo scusa, ma non ho l'età per votare e non seguo le evoluzioni dei partiti in Italia) è un partito postfascista: “Con i loro scarabocchi, i graffitari aumentano il degrado, contribuendo a creare un terreno favorevole a ogni tipo di illegalità”.
Ora, non dico che non ci siano graffiti che fanno pure schifo, ma dire che i graffiti portano alla prostituzione, allo spaccio o al furto, mi sembra un’enorme barzelletta. Magari piacerà agli amministratori dei condomini, che lo decoreranno con la medaglia al valor civile. Ma, insomma, anche un premiolino alla comicità non glielo vogliamo negare.
Mi piacerebbe sapere come avverrà il controllo o la vigilanza. Non vorrei che, dietro ogni ragazzo, vedano un potenziale graffitaro. Sono preoccupato. Sotto i 18 anni saremo tutti schedati? Ci metteranno un chip sottopelle per vedere al satellite tutti i nostri movimenti? Telecamere nascoste? Per avvicinarci alle stazioni avremo bisogno di un permesso speciale? E ci spareranno a vista? O finita la scuola ci manderanno in colonia a Guantanamo Bay?

Allons enfants.
Il nuovo sindaco donna di Milano, nel suo nuovo ruolo di capopopolo che incita la gente a manifestare per strada, ha un sacco di preoccupazioni. Ma una delle sue prime preoccupazioni, appena insediata, è stata quella di farsi chiamare signor Sindaco, non signora Sindaco, né Sindachessa (per carità, che orrore!): una femminilizzazione eccessivamente allargata e non controllata avrebbe potuto indurre a far credere che fosse a capo, non del Comune, ma della Comune di Milano.

La scuola è una bottiglia vuota.
La scuola è una bottiglia vuota. Cambiano i governi e cambiano i ministri. Arriva un ministro, cambia l’etichetta, svuota e riempie. Arriva l’altro ministro: cambia l’etichetta, svuota e riempie. Per qualcuno la bottiglia è mezzo piena. Per altri è mezzo vuota. Io sono uno di quelli che pensano che la bottiglia sia mezzo vuota. Di che? Di parole. Cioè di niente.
È da quando facevo le elementari che a scuola ci parlano della droga. Alle elementari avevo sei anni, ed era emergenza. Alle medie avevo undici anni, ed era emergenza. Al liceo è ancora emergenza. Ce la raccontano in tutte le salse, e, francamente, cominciamo ad averne piene le scatole: dibattiti, circolari, interventi teatrali, test, indagini, ricerche, sondaggi, opuscoli. Ci sommergono dalla nascita. Siamo diventati degli esperti, anche se magari neanche ne consumiamo. Conosciamo persino le formule chimiche, potremmo pure inventarcene di nuove in laboratorio, tanto siamo diventati esperti.
Se la cosa non fosse tanto ridicola, direi che quello della droga è un mercato enorme, in cui tutti sono coinvolti e hanno qualcosa da guadagnare: dagli spacciatori, ai sondaggisti, agli editori, alle agenzie pubblicitarie, ai consulenti dei ministri, alle associazioni no profit, ai centri di recupero. Dalle elementari, non ci parlano d’altro, non fanno altro. Tra sacro e profano, l’indotto è sterminato, senza confini.
La droga ha un sacco di sponsor. Gli alcolisti anonimi, invece no. Di alcol non si parla. Perché il vino e i superalcolici hanno la benedizione dello Stato, e poi sono un’industria redditizia e una lobby più micidiale della cirrosi che provocano. Se la televisione tipo Report prova a fare un’inchiesta su quello che c’è nel vino, dai pesticidi al mosto concentrato alle sostanze cancerogene, o di quello che c'è nella birra, partono denunce a raffica e la diffida del ministro di turno che difende i “poveri agricoltori”.
Ho visto un articolo su un giornale, dove si parla dei “baby-alcolisti”: sembra che l’Italia sia il paese europeo dove i giovani cominciano a bere troppo presto, cioè a 12 anni.
Tutto vero. Confermo. L’ho fatto anch’io, senza esagerare, sinché ho capito che l’alcol è più noioso della noia che vorrebbe cacciare. Non so se queste nuove abitudini vengano dall’imitazione dei paesi anglosassoni (la sbornia del weekend, l’happy hours, l’aperitivo, eccetera). Può darsi che ormai siamo tutti americani e MTV ci ha fatto il fegato ingrossato e le arterie sclerate con la loro porzione quotidiana di finzione e di adolescenti americani ciccioni e beoni, troppo stupidi per essere veri. Però è vero che i ragazzi italiani bevono come spugne. Che poi vuol dire in modo “compulsivo”, come dicono gli esperti. Ti sbronzi molto e subito. Si comincia a 12 anni con le cose colorate, alcol travestito da frutta, vodka-lemon eccetera. Pochi gradi, te lo danno tranquillamente dove dovrebbe essere vietato il consumo ai più giovani. E poi vai avanti, in progress. Ragazzi e ragazze. Un sacco di ragazze. Ne vedo e ne ho visto di gente che vomitava l’anima. In casa e all’aperto. La notte, qui a Milano in ticinese, c’è una folla che barcolla: sembra il Titanic onda su onda, prima di schiantarsi. Nelle case, ho assistito alle imprese di ragazze che bevevano alcol puro. E poi a scuola facevano le maestrine e gne-gne-gne gni-gni-gni con la prof, tutte moine per un sette in filosofia, così papà è contento. Gente schizofrenica. Fuori di zucca. Cervelli sclerati. E a questo punto non so se per colpa dell’alcol o del papà o della prof.
Comunque, l’articolo che ho visto mi sembra giusto. In attesa che il ministro della scuola e i suoi consulenti scoprano il nuovo business dell’alcol, dopo quello della droga, e ci sommergano di predicozzi e opuscoletti, e prima che le associazioni religiose (così sensibili alla difesa della vita da confondere il feto con lo spermatozoo) scoprano la mortificazione del fegato, voglio riportare le poche cose intelligenti che ho sentito sull’argomento, sperando che magari qualche amico legga queste cose.
Lo psichiatra Vittorino Andreoli: "L'alcol è una droga che dà modificazioni lente, i ragazzi invece, con questa modalità del bere compulsivo, hanno trovato il modo per ubriacarsi velocemente e subito. E sono riusciti addirittura a rendere immediata la sbornia da vino, perché lo consumano attaccandosi alla bottiglia, buttandolo giù finché hanno fiato... L'adolescenza - spiega Andreoli - è l'età della metamorfosi, gli adolescenti non si piacciono, si sentono travolti da se stessi e cercano in tutti i modi di governare questa metamorfosi. L'alcol è l'ingrediente più vicino, ce l'hanno in casa, l'alcol è ovunque, agisce subito e fa sentire disinibiti. I loro stessi genitori non avvertono, a torto, il bere come pericolo, ne ho sentiti tanti dire meglio una sbronza che la droga... Un errore gravissimo, oggi questo modo di bere dei giovanissimi ha tutte le caratteristiche della tossicodipendenza". Ma Andreoli va più in là: "Questa campagna di nuove regole è ipocrita. Il messaggio che ai giovani arriva è: bevi ma non guidare, bevi ma non metterti in pericolo. Mentre ad ogni ora del giorno e della notte su ogni canale televisivo la testa dei giovani è martellata di spot pubblicitari che invitano a consumare birra, vino, whisky...".
Lo psichiatra dice bene, ma il rischio è che la colpa sia tutta degli "spot pubblicitari". Ma la pubblicità è solo un passepartout. I ragazzi non guardano neanche tanto la televisione. È lo Stato, coi suoi monopoli, e gli industriali così ben rappresentati nel Parlamento, che invitano a consumare.
Eugenio Scofato dell’Istituto superiore della sanità: "Esiste una strategia commerciale che ha puntato ai giovanissimi inondando il mercato di bevande alcoliche dolci e colorate, i breezer, gli alcolpop, pensate per sedurre i più giovani, alcune addirittura hanno le etichette con i caratteri dei cartoon. Costano pochi euro e gli adolescenti le consumano quotidianamente, ma il loro metabolismo è ancora acerbo è questo può creare danni gravissimi".
L'articolo era di Maria Novella De Luca ed è stato pubblicato su La Repubblica.

Milano, culla della civiltà.
L’assessore Prosperini, assessore regionale in Lombardia di Allenza Nazionale, per l'esattezza assessore allo Sport e ai Giovani (avete capito bene: ai giovani), rilascia delle dichiarazioni al Giornale di Berlusconi, invitando a sbarazzarsi di omosessuali, tossicodipendenti, nomadi e musulmani. Alcune frasi: “Ci vuole il modello Singapore: lo stendi sulla panchetta e ten, ten dieci nerbate..”, a proposito di possibili terapie per combattere la tossicodipendenza. Oppure quelle contro gli omosessuali: «I gay garrotiamoli, ma non con la garrota spagnola, il collare che stringe lentamente la gola. Ma quella indiana, pare degli Apache: cinghia di cuoio legata intorno alle tempie che asciugandosi al sole si stringe ancora..».
L’intervista al valente assessore avvalora la tesi della sindaca Moratti, secondo cui Milano è una città molto degradata: dai suoi amministratori.

La fiaccolata assassina.
Alla fine, Mestizia Moratti ha organizzato la sua fiaccolata, che si è svolta ieri notte. Non nelle banlieu milanesi, dove pure i pittbull girano in coppia per paura degli umani, ma nelle zone bene di Milano, cioè sotto casa della Moratti, giusto per la tisana o l'ammazzacaffè. La fiaccolata per la sicurezza è riuscita. Infatti stamattina decine di motociclisti hanno rischiato di ammazzarsi sulla scia di cera lasciata per terra dai probi milanesi focolarini. Non ci sono stati morti, ma sono partite certe bestemmie.
Roba da comiche finali. Io l'ho sempre detto che la Mestizia ha delle espressioni un po' così, alla Stan Laurel. Però adesso i milanesi cominciano a farsi certe domande: e se portasse pure sfiga?

Altri giovani.
Dice che Francesca Versace, figlia di tanto padre e nipote di tanto zio, ha provato a entrare in una scuola di fashion inglese e non l'hanno ammessa, e allora ha studiato taglio e cucito e ha fatto una collezione che ha intitolato "Lago di Como" in ricordo della villa del famoso e defunto zio. Quando si dice la sensibilità. Ma se invece di dedicarla alla villa, l'avesse dedicata allo zio sarto e stilista, come l'avrebbe chiamata: "L'ago di Como"?

C’era un cinese in coma (apparente).
Ma che cosa fanno questi adolescenti apatici, temerari, ignoranti, bulli, sessuofobi, consumisti, superficiali, modaioli e con le mutande di fuori? Non lo so. Per saperlo, dovete vedere le trasmissioni di un tuttologo addolorato che si chiama Vespa e che sembra il figlio di un monsignore con le mani giunte. Io, invece, vi posso raccontare la mia febbre del sabato pomeriggio (perché la notte, insomma, quello che faccio la notte sono fatti miei, e non lo vado certo a raccontare al figlio del monsignore, che poi magari gode).
A me, Riccio e l’Asia ci è venuto il pallino della magia. Proprio così. Sabato ci siamo attaccati a internet e abbiamo cercato qualche negozio di magia e illusionismo. Siccome non siamo così ignoranti e sappiamo bene che ci aspetta una vita da precari, ci siamo detti: magari con i trucchi ce ne viene qualcosa. Chissà.
Abbiamo frugato nella rete, ma a Milano sembra che ce ne siano pochi di negozi per maghi. Insomma, alla fine ne abbiamo trovato uno. Di un cinese. Lontano un casino dalla nostra zona. Non era a Shanghai, ma quasi. Così abbiamo fatto il pieno ai motorini e siamo partiti. Io, Riccio e l’Asia...
E siamo arrivati. Era pomeriggio ma era come se fosse buio, perché siamo finiti in una specie di cantina. Non è che fossi molto tranquillo, però Riccio quando si arrabbia fa brutto, e così mi sono rilassato. Poi è finito il tunnel e siamo entrati in una cosa normale, una specie di magazzino-negozio bene illuminato. Insomma normale. E lì c’era il cinese. Seduto a un tavolo. Che non ci ha neanche guardato perché era preso dalle sue carte. Provava e riprovava e faceva delle cose incredibili. Minchia, abbiamo detto, siamo nel posto giusto.
Mentre Ciuenlai faceva le sue cose, si è presentata una donna che non era cinese. Noi intanto abbiamo cominciato a guardare le magie, e volevamo comprare praticamente tutto. C’è venuta una frenesia ma la donna si è messa in mezzo. Insomma non ci voleva vendere niente. Questo non ve lo do. Questo no. E neanche questo. Vi vendo le palline, al massimo. Che sono due cosine di gomma piuma che fai sparire e apparire. Ma, insomma, la cosa era seccante. Tanto che avevo voglia di chiedere al cinese: ma lei di che vive? Però lui era preso dalle sue carte. E la donna non mollava: prima comprate il libro di magia, poi ritornate e vi dò qualcosa.
Poi sono arrivati dei ragazzi e abbiamo fatto due chiacchiere. Loro lavoravano e facevano uno spettacolino di 50 minuti in un locale. E abbiamo capito tutto: i maghi hanno un’etica del mestiere, che difendono dagli improvvisati. Se usi un gioco e lo fai male, e la gente scopre il trucco, sputtani tutta la categoria. Chiaro? Chiaro. E così abbiamo comprato il libro “Corso completo di magia”, che è una vera figata. Poi due palline e delle carte speciali.
Mi sto esercitando da due settimane, e le cose vanno abbastanza bene. I giochi di prestigio sono come una certa fisica o una certa matematica: sono stimolanti. Abbiamo portato anche i giochi di prestigio in classe. Perché a scuola? Non è per fare casino, ma una ragione c’è. Facciamo sette ore (da cinquanta minuti), con materie praticamente simili e inutili che si sovrappongono e che ci sfiniscono. Non facciamo uscite didattiche. Non ci sono laboratori. Non abbiamo neanche una palestra. Gli insegnanti sono spesso dei monumenti di pietra su cui si posano i piccioni. Il corpo insegnante è vecchio, il più vecchio d’Europa. Gli studenti italiani fanno più ore degli altri europei, gli insegnanti fanno meno ore: c’è qualcosa che non quadra. Il rapporto è difficile. La nostra è una scuola morta, defunta, un centro di accoglienza, un luogo-dormitorio. E il gioco? Almeno quello, aiuterebbe. Cito Ennio Peres, matematico, enigmista e “giocologo”, che ho conosciuto leggendolo su Linus. La sua passione è nata quando i genitori gli regalarono, appunto, una scatola di giochi di prestigio.
"Se la scuola riuscisse a spogliarsi della sua tradizionale veste seriosa e fiscale e se, di conseguenza, le materie venissero insegnate con uno spirito più giocoso, la partecipazione degli studenti e il loro conseguente livello di profitto potrebbero risultare sensibilmente più alti, con una ricaduta, nel tempo, di straordinari benefici sull'intera società". Ecco, a me la matematica non dispiace, e anche la fisica. Ho sentito Margherita Hack, quella che sa tutto delle stelle, che diceva che fare fisica, ma anche chimica, senza laboratorio non ha senso. Perché capisci di più, perché è stimolante. Ma chi ha mai visto un laboratorio? E poi, come si troverebbe, uno dei nostri insegnanti, alle prese con un laboratorio? Meglio, molto meglio ripetere il solito rosario di nozioni, lo stesso da trent’anni, e ritirare a fine mese lo stipendio. La creatività affonda in questo mare di apatia generale. La scuola ci assegna i compitini, e noi, bene o male, li svolgiamo. però Ennio Peres ricorda che “in realtà, nel processo di risoluzione di un problema matematico, lo svolgimento dei calcoli costituisce solo il momento terminale: la fase più importante, e assai più stimolante, è proprio quella relativa alla ricerca del procedimento da seguire". E ricorda come "un tempo, nel Medioevo, Alcuino da York fu chiamato da Carlo Magno per istituire una scuola per i giovani di corte. Lui scrisse per loro un libro di matematica all'interno del quale inserì una cinquantina tra giochi e problemi. L'idea di insegnare la matematica tramite il gioco, quindi, è molto antica, ma si è andata perdendo. La scuola, così, è diventata seriosa e ha tolto questi stimoli. La scuola dovrebbe essere accattivante, coinvolgente, suscitare curiosità: è come se non ci si rendesse conto che il linguaggio naturale dell'uomo, soprattutto dei bambini, è il gioco. Nel contempo, la mediocre preparazione culturale e la scarsa capacità di inserimento nel mondo del lavoro che mediamente i giovani denunciano al termine degli studi, dimostra come l'efficienza del nostro apparato scolastico sia alquanto modesta".
Mi chiedo: come sono messi i cinesi con la scuola? So che le loro scuole sfornano una montagna di ingegneri, di fisici, di informatici. E quando rivedo Ciuenlai che ragiona sulle sue carte in una specie di trance, e che con quelle carte fa cose incredibili, capisco perché.

Il Piccolo Lordo.
L’altro giorno sono passato davanti alla tomba dei criceti che avevo quando andavo alle elementari. La tomba è nel terreno davanti a casa dei nonni. E i criceti me li ricordo bene: uno era maschio, l’altro era femmina.
Prima venne la femmina, che era un tipo nervoso. Perciò mia madre pensò: avrà bisogno di un compagno. E quella fu la mia prima lezione di sesso dal vero (ce ne fu un’altra, quando un compagno filippino delle elementari un po’ scemo portò a scuola un giornale specializzato in peni delle dimensioni di una tour eiffel e di sederi che per pochi metri non battevano la circonferenza del Planetario dei giardini di corso Venezia, e che a noi facevano molto ridere, un po’ meno alla maestra). Mia madre era un po’ preoccupata perché non se la sentiva di adottare altri roditori, e così chiese al negoziante: ma non è che... E il negoziante le disse: stia tranquilla, che i criceti, in cattività, non fanno figli. Glielo giuro.
Dopo qualche tempo, ce n’era una montagna, di criceti. E quella notte mamma non dormì tanto bene. Poi, pochi giorni dopo, ci fu lo sterminio: la criceta li aveva fatti fuori. E mamma non ebbe il coraggio di dirmi tutto (solidarietà tra mamme, immagino): sono stati male, mi disse. E io le dissi: ma non hanno mica vomitato.
Passò del tempo, e nacque un’altra montagna di criceti. A mia madre venne un attacco d’ansia, infilò quei mostriciattoli in una gabbietta e portò il pacchetto dal negoziante: senta, gli disse, questi sono figli suoi, e poi noi abbiamo la casa piccola.
Così separammo i due criceti adulti, in due gabbiotti separati. Fine del sesso. Ma senza dispiacere. Perché la criceta era aggressiva, e al maschio però una certa voglia gli era rimasta. Comunque gli davi due carriole di semi e se ne stava tranquillo. E ingrassava. Mentre la criceta dimagriva. Le davamo delle vitamine, e lei andava giù di peso. Anche perché era nevrotica, faceva la ruota 24 ore su 24, mai fuori servizio, come un self service dell’Agip. Poi morirono, e mamma pianse. Io venni informato da mio padre, che siccome è nato in una cittadina piccola i funerali li ha visti da quand'era bambino e poi conosce i film di Humphrey Bogart a memoria, perciò il tono giusto lo sa trovare.
Così per un po’ ho pensato che il pensiero del sesso rendesse o nevrotici o grassi. Ma con la mediazione dei ricordi della tour eiffel e del planetario, sono arrivato a una linea mediana, di conciliazione degli eccessi e di commistione di generi: tutto è relativo, e la confusione è tanta, ormai dai tempi delle elementari. Tanto che se mi chiedono “quale libro preferivi da bambino?”, mi viene da rispondere: il libro che ho amato di più è stato Il Piccolo Lordo, di Frances Eliza Burnett, genere romanzo sociale-psicologico per ragazzi, e così faccio la mia bella porca figura...
Però, a parte gli scherzi, ho letto un’inchiesta di Concita De Gregorio. Dice la ginecologa di un consultorio: “Le italiane, soprattutto le giovanissime, vivono rispetto alla nostra generazione una fase di regressione”. Dice la ginecologa che le giovanissime usano molto poco gli anticoncezionali. Non per ignoranza, ma per scelta. E lo fa riferendosi anche all’esperienza maturata non solo nel consultorio, ma anche nei corsi di educazione sessuale che tiene nelle scuole: “C’è questo fenomeno dell’aumento dell’uso del Viagra fra i quindici-sedicenni. Uno si domanda come mai. Poi va a incontrarli e capisce. Sono rimasta di sasso, di recente, in una classe di seconda superiore: il gruppo delle ragazze faceva sfoggio davanti ai compagni maschi coetanei di una competenza e di un linguaggio così provocatorio che non so ripeterglielo. I maschi erano ammutoliti. Una delle quindicenni, sostenuta dalle compagne, raccontava di fare sesso in libertà senza nessuna precauzione. Mi sono venuti in mente quei racconti di giovani che vanno in moto o i macchina a fari sepnti: è così, con un gusto e un piacere del rischio esibito come un trofeo”.
Certo che c’è della gente un po’ assatanata, ma la storia del Viagra è inedita. Non mi sorprende, invece, che qualche ragazza si vanti di fare sesso senza precauzioni. Ho sentito anch’io delle ragazze: “Tanto a me non succede”. E poi nelle discoteche: succedono cose che è meglio non descrivere. Ma il Viagra, insomma, che vuol dire? Che c’è consumismo, anche lì, e che se devi stare appresso alla domanda crescente, come direbbe un economista, allora ti devi attrezzare. Mio padre mi chiede se anni di corsi di educazione sessuale nelle scuole siano serviti a qualcosa. L’unica risposta che posso dare è che, a me, sono serviti, almeno tecnicamente, se così si può dire. Sul consumo di sesso in quantità ma senza qualità, invece, non mi pronuncio. Non sono uno psicologo. Qualcuno dà la colpa alla televisione pornosoft, passando per le veline col sedere di fuori di Striscia. Può darsi. Ma, se è così, è la società che è malata: quella degli adulti, perché poi i ragazzi seguono a ruota. Per il resto, confermo tutto: c’è molta ignoranza, molta superficialità. Perché? Direi che il sesso tra i giovani è come il fast food. La differenza è che è gratis.

Ma siamo sicuri che questa signora si senta bene?
Si chiama Livia Turco, ha i capelli gialli e di professione fa la ministra della Salute, non in virtù di speciali competenze, ma di una tessera di partito. Proviene da un partito ex comunista alla deriva. Dovrebbe occuparsi della salute dei cittadini, ma in Italia i rottweiler continuano a dilaniare le persone per strada, negli ospedali si crepa di malasanità, per effettuare un banalissimo esame diagnostico ci vogliono dai due ai tre mesi, la percentuale dei casi di cancro è a livelli indecenti. Secondo una recente inchiesta dell’Espresso, “in Italia la crescita dei casi di tumori è a livelli da epidemia. Basta guardare i numeri e confrontare i dati degli anni Ottanta con le analisi più recenti: tra il 15 e il 20% in più i casi di linfomi e leucemie; i mesoteliomi che esplodono (più 37% nelle donne e più 10 negli uomini); poi la mammella (più 27), il cervello (tra l'8 e il 10), il fegato (tra il 14 e il 20). Se si guarda ai bambini, la statistica diventa angosciante: il confronto tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Novanta mostra risultati spietati”. Usando come campione la Regione Piemonte, “si scopre un'impennata del 72% del neuroblastoma, del 49% nei tumori del sistema nervoso centrale, del 23% per le leucemie”.
Questa signora dovrebbe dimettersi, o tacere, come minimo. E invece parla molto. Si dice d’accordo con la collega Moratti che, a Milano, invita i genitori a fare il test antidroga ai figli, e va oltre, anzi vuole surclassarla. Adesso, dopo il caso di un ragazzino morto a scuola dopo aver fumato uno spinello probabilmente pieno di molte schifezze, vuole utilizzare i carabinieri con "un’ispezione a tappeto nei licei e negli istituti tecnici di tutta Italia". La notizia ha scioccato le persone dotate di un cervello che funziona: “Se dice che vuole combattere lo spaccio, qualcuno le deve spiegare urgentemente che cos’è e come avviene il traffico di droga”. Un sottosegretario al ministero dell’Economia: “La scuola non può essere trasformata in una sorta di stato di polizia”. L'Unione genitori: “Gli istituti scolastici non possono diventare il luogo della repressione”.
Parere personale: ne ho piene le scatole della demagogia di questi bacucchi incapaci, che si svegliano di colpo, sparano a casaccio, e non basta: sbagliano anche mira. Mi conforta la dichiarazione di un ex ministro, Berlinguer, ministro dell’Istruzione dal 1996 al 2000. Non che abbia fatto grandi cose, però almeno ha provato a fare un’analisi serena: “Bullismo, violenza, spinelli in classe, hanno tutti una stessa origine. I ragazzi vivono la scuola come una cosa estranea. In classe non c'è passione. Le nozioni vengono calate dall'alto, l'insegnamento è ancora autoritario. Così la naturale aggressività di un giovane, che potrebbe esprimersi attraverso la creatività, resta bloccata. Un ragazzo cerca la droga per noia, per curiosità, per desiderio di fuga. La scuola così com'è non sa offrire motivazioni, interessi, non dà gioia”.
Certo, la droga arriva anche nelle scuole. Ma arriva perché fuori la trovi dappertutto, come vuoi, dove vuoi, e per non cadere in tentazione devi avere le palle grandi come una casa. Prima di distogliere i carabinieri da compiti e azioni più importanti, la ministra Turco provi a riflettere (insieme all'attuale ministro dell'Istruzione Fioroni, che vuole mettere anche le telecamere, avvalorando la tesi di un paese trasformato ormai in repubblica del talk show) sulle considerazioni di Berlinguer. E intanto si faccia curare l’ansia di sparare sciocchezze.

Ministerium für Staatssicherheit.
Il ministro della Salute Livia Turco, in occasione della Giornata mondiale senza tabacco dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), propone di proibire la vendita delle sigarette ai minori di 18 anni. La proposta rientra, riporta una nota del ministro, nelle iniziative di lotta contro il fumo che rimane "tra le grandi priorità delle politiche di salute del Governo e del ministero della Salute". Il ministro aggiunge anche di volere "rivedere la legge 626 del 1994 sulla prevenzione e sicurezza del lavoro, prevedendo di inserire il fumo tra gli elementi nocivi per la salute dei lavoratori." Infatti è noto che quelli che cadono dai ponteggi - che però non sono “priorità delle politiche di salute di questo Governo” - sono tutti o meglio erano fumatori incalliti.
Scoraggiare i fumatori va bene, però questa cosa della Turco mi sa di già visto. Tutti i ministri della Salute alla fine la menano con questa “battaglia”, come la chiamano loro, che gli dà visibilità, e che è facile facile, come sparare a una quaglia paralitica. A parte il fatto che pensavo che il divieto ci fosse già... Comunque, se non è così, il divieto è un buon inizio, magari la Turco farà finalmente qualcosa di serio. Per esempio. Le sigarette sono pericolose per il monossido di carbonio (CO), che viene prodotto dal fumo di sigaretta, ma anche dagli autoveicoli, dagli impianti di riscaldamento domestici e dagli impianti industriali. Le sigarette sono pericolose anche perché il fumo prodotto contiene concentrazioni elevate di benzopirene, che però è prodotto anche dalle centrali termiche e dagli autoveicoli, si trova nelle particelle sospese (polveri) prodotte dall’abrasione dei freni, dei pneumatici e del manto stradale, ed è presente anche negli alimenti preparati con grigliatura, affumicatura, torrefazione e tostatura.
Perciò, se la ministra non ha soltanto la bocca grande, provi a pensare realmente alla salute dei cittadini, vietando ai minori di 18 anni: l’uso della corrente elettrica; le bistecche; il prosciutto e il salmone affumicato; il caffè; il pane tostato; il riscaldamento a scuola e nelle abitazioni private; l’uso del motorino. E, soprattutto, non ci faccia uscire nelle strade di Milano sino al compimento dei 18 anni. E, mi raccomando, poi promuova una di quelle “azioni concertate di controlli a tappeto” che a lei piacciono da morire...
Ragazzi che figata. Come ai tempi del Ministerium für Staatssicherheit. Detto confidenzialmente: Stasi.

Il giovane Loden