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Simboli, segnali, pittogrammi e altri disastri dell'immaginazione

Chi vivrà, vedrà.
Se vedere significa, letteralmente, intendere, conoscere, capire, è vero che farsi vedere significa farsi capire. Ma non tutti i simboli e i segnali che incontriamo, per caso o per forza, sulla nostra strada, centrano l'obiettivo di chi li crea e produce, spesso a costo di un duro lavoro e sforzo intellettuale: insomma, non tutti riescono a farsi capire. Malgrado l'impegno. Malgrado lo "sforzo intellettuale". (E malgrado l'impegno e lo sforzo vengano adeguatamente ricompensati con moneta corrente).
La Iaea (International Atomic Energy Agency) ha annunciato di recente che il simbolo per le radiazioni pericolose è stato sostituito. Perché mai? Per rendere “più chiaro” a tutti che la presenza di questo simbolo sta a significare un pericolo di vita. Per realizzare il nuovo simbolo, la Iaea ha impiegato ben cinque anni di ricerca, testandolo in 11 paesi. Il simbolo riguarda le fonti radioattive classificate 1, 2, 3, perciò indica quelle fonti capaci di provocare la morte o gravi patologie. Il risultato? Lascia un po’ perplessi.
Innanzitutto, il risultato sarà chiaro, come sostiene la Iaea, ma è veramente immediato? La Iaea ha cercato di superare l’estrema semplicazione del primo cartello, per scegliere un vero, piccolo racconto, quasi un fumetto. Un racconto che ispira forse più chiarezza (abbiamo qualche dubbio in merito), ma meno immediatezza. Infatti viene conservato il simbolo originale, che prima viveva su fondo giallo, ma unito a un piccolo racconto: il simbolo delle radiazoni, un teschio simbolo di morte e infine un omino che corre. Che corre dove? Chi lo sa. Tutti facciamo il tifo per il povero omino: speriamo che vada lontano, lontano, magari verso le prossime Olimpiadi per battere il record di Asafa Powell sui cento metri. E che Dio lo assista.
Comprensibile o meno, c’è da dire che al primo cartello eravamo ormai abituati (chi non è mai entrato - esclusi i supermen a cui non si rompe neanche un'unghia - in un reparto di radiologia di un ospedale?). Il triangolo e il giallo indicavano immediatamente una situazione di pericolo (linguaggio e percezione ormai fatti propri da tutta la popolazione, sicuramente quella occidentale, ma in un mondo omologato la differenza non sussiste), e una breve frase del tipo “pericolo radiazioni” completava l’opera di convincimento.
Adesso, la Iaea ha cercato di rendere le cose più semplici, complicandole. Innanzitutto, la progressione confusa del racconto: se leggo per arrivare alla fine, prima di capire e decifrare tutto il racconto son già morto. E poi il colore: il nero su fondo giallo offre una lettura eccellente, il nero su fondo rosso è un suicidio per la vista. È una scelta da incompetenti. I colori in quanto “simboli comunicativi artificiali” sono da tempo codificati e storicizzati. In questo contesto, è vero che il rosso, nella segnaletica di sicurezza, viene generalmente adottato anche come simbolo di arresto perché venga evitato un pericolo (si pensi al segnale di stop), ma è altrettanto vero che non offre particolare visibilità, sicuramente meno del giallo, considerato il colore della più alta visibilità e spesso usato per indicare pericolo.
Un flop? Diciamo che lasciano perplessi quei cinque anni di lavoro per complicare e confondere definitivamente un messaggio. Diciamo che la nuova idea non sembra atomica, ma microbica. Ma è inutile prendersela con l’istituzione. Magari ha agito a fin di bene. Del resto, il giallo è brutto, tanto che viene associato ai sentimenti di invidia e gelosia; mentre, sempre nella tradizione popolare, il rosso è associato alla parola “amore”. Che la Iaea volesse trasmettere un messaggio di pace e amore? Forse. L’importante è volersi bene. E per quanto riguarda le radiazioni? Chi vivrà, vedrà.

I tagli delle ferrovie.
Quando penso ai treni mi viene da piangere. Chi ha conosciuto la televisione in bianco e nero sa quel che dico: Il ferroviere di Pietro Germi è un ricordo difficile da cancellare. Ma erano tempi di disgrazia. Poi è venuta la spensieratezza della tv a colori, e la littorina ha fatto spazio ai progenitori del pendolino, in quest’Italia tutta trottolino amoroso dududadada dei vezzeggiativi e dei diminutivi.
Ma il trauma del ferroviere è rimasto. I treni che partono. Gli addii e i fazzoletti che si agitano, le lacrime dell’abbandono e del ritorno, l’emigrazione e le ferie al Sud, e il pendolarismo al Nord. Il treno, più delle topolino amaranto e delle alfa rombanti, più degli aerei così dinamici ma che si appoggiano all’aria impalpabile e mettono paura, il treno è il paesaggio dei nostri ricordi.
Se non fosse per Cimoli e per l'eredità sgangherata che ha lasciato, se non fosse per i tagli ai dipendenti (decine di migliaia) e alle stazioni soppresse e cancellate definitivamente dalla geografia italiana, le ferrovie ci piacerebbero, anzi ci piacciono. Ma non ci piacciono quando sono motivo di pianto. Perché? Perché ci hanno dato un altro motivo per piangere, le ferrovie. Insomma una specie di disgrazia.
La disgrazia l’ho scoperta per caso. Magari esiste, è lì da anni, e io l’ho notata soltanto adesso. O meglio l’altro giorno, quando, da un treno, ho dato uno sguardo a una piccola stazione, e lì ho notato questo cartello, il solito cartello con l’omino sbarrato da un segno rosso. Ma non era il solito cartello. Ho strabuzzato gli occhi e, sì, non era più lui: o meglio, era lui, ma gli avevano amputato la gamba. Così. Di netto. Secco. Senza spargimento di sangue.
Ora, immagino che per rivoluzionare questo cartello che da anni, da decenni, ci veniva rappresentato con un significato compreso da tutti (vietato attraversare i binari), gli addetti alla segnaletica abbiano impiegato anni e anni di ricerca, così com’è successo alla Iaea. Ma, visto il risultato, ci viene da dire: perché? Togliere la gamba al povero omino ha aggiunto un significativo progresso nella comunicazione tra umani? A noi, invece, il cartello sembra disumano. Perché si presta ad almeno quattro opzioni e/o significati conturbanti (e chi ci capisce è bravo):
1) Vietato l’ingresso agli amputati.
2) È vietato attraversare i binari saltellando sulla gamba destra.
3) Se provate ad attraversare i binari vi viene una gamba così.
4) È severamente vietato possedere una sola gamba.

Milano insegna.
Questo, invece, l'ho visto a Milano. E lo racconto brevemente. È l'insegna di un ristorante, dove magari si mangerà anche bene (chi lo sa), ma dove non è molto chiaro il target di riferimento. L'insegna dice: Ristorante da Bimbi. E io ho pensato, velocemente, mentre passavo lì davanti con la 92: ma che gli daranno da mangiare ai clienti, il plasmon?

Mani sporche.
Un segnale di divieto con un operaio che mostra una mano nera. È un cartello che trovi dappertutto, dalle stazioni ferroviarie ai cantieri edili. Se non è accompagnato da un messaggio esplicito (come in questo caso), risulta incomprensibile. La logica suggerirebbe: è vietato l'ingresso agli operai con le mani sporche.
Il significato di quella mano nera così in evidenza? Un vero enigma. Anzi un rebus con tre elementi: un segnale di divieto; un operaio con caschetto che urla; una mano nera. È un'immagine che turba.
A meno che non sia un esplicito omaggio ai molti lavoratori in nero che mandano avanti i cantieri di mezza Italia...

Milano lancia nuovi segnali.
Non è un segnale, ma potrebbe esserlo: un segnale anti-barbùn. L'abbiamo visto nei dintorni di corso Buenos Aires a Milano.
Il Comune ha avuto questa bella trovata: un “bracciolo” al centro delle vecchie, classiche panchine di legno, che ha la funzione di impedire ai barboni di passarci la notte. Abbiamo chiesto al nostro amico Mongoose, che è un esperto di panchine, di testare i sedili dotati dell’inconsueto accessorio. “In un primo tempo”, ci ha detto Mongoose, “il Comune di Milano aveva pensato di piantarci dei chiodi. Poi ha fatto questa cosa con la scusa di stabilire le distanze tra due sconosciuti che si siedono sulla stessa panchina e che non hanno voglia di parlarsi: questa metà è mia, questa metà è tua. E il bracciolo è anche comodo per poggiarci il braccio ingessato o paralizzato: perciò l’avrei visto, più che nella zona Buenos Aires, in zona Galeazzi o Gaetano Pini. In ogni caso, se ci devi dormire, è poco ergonomico e molto scomodo. Anzi, è pericolosissimo per chi soffre di colite, di appendicite, di colecistite, di morbo di Crohn e persino di varicocele. Lo sconsiglio nel modo più assoluto. È più comodo dormire in piedi, come fa la Moratti quando legge i suoi discorsi in Consiglio comunale”.

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