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Postille

L’ultima idea di Fioroni: il bollino blu.
(Settembre 2007) Il ministro della Pubblica istruzione Fioroni ha annunciato che sta pensando seriamente al ripristino degli esami di riparazione.
Il ministro della Restaurazione non finisce di sorprendere: ha reintrodotto il sette in condotta come censura delle libere opinioni, definito non a caso “arma” e che diventa un potente e pervasivo strumento di controllo delle contestazioni studentesche; ha assunto altri 60.000 dipendenti nella scuola, cioè in un settore di un pubblico impiego bulimico e iperpro
tetto, ottima base per clientele e scambi elettorali dai tempi della vecchia DC; con un'ordinanza contestata da molte associazioni laiche, ebraiche e cristiane non cattoliche, ha stabilito che “i docenti che svolgono l’insegnamento della religione cattolica partecipano a pieno titolo alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento”: ciò vuol dire che, introducendo surrettiziamente l’ora di religione fra le materie che concorrono a pieno titolo a formare la valutazione degli studenti per gli esami di Stato, questi “docenti”, questi personaggi reclutati sino a ieri tra le beghine e nominati dalle curie ma pagati fior di quattrini dallo Stato laico, parteciperanno agli scrutini e potranno valutare la preparazione degli alunni.
Adesso rientrano in ballo gli esami di riparazione. L’ultima uscita del ministro della Restaurazione ha provocato molte polemiche e un ulteriore imbarazzo nel centrosinistra. È evidente che questo democristiano viterbese portatore di tessere, ultimamente, fa di tutto per mostrarsi e cercare visibilità, rischiando di allargarsi un po’ troppo (come non ricordare il suo recente discorso agli italiani, in occasione degli esami di maturità e praticamente a reti unificate, privilegio toccato sinora soltanto al presidente della Repubblica?). Alcuni colleghi gli hanno ricordato che nell’accordo pre elettorale dell’Ulivo non era previsto niente di simile. Giovanna Capelli, senatrice di Rifondazione comunista, oppone un secco no, ricordando che "il recupero va fatto nel corso dell'anno, con un insegnamento pomeridiano, anche individuale", mentre l'esame di riparazione "scaricherebbe tutto sulle spalle della famiglia, che nel corso dell'estate dovrebbe pagare ripetizioni per i figli". Non a caso, il segretario generale della Cisl-Scuola odora la trappola e avverte: "Bisogna evitare il lezionificio, quel sistema di lezioni a pagamento che non tutti si possono permettere".
Sulla possibilità del ritorno al “lezionificio” delle lezioni private con potenziale raddoppio, in nero, dello stipendio, molti docenti si fregano le mani, rifiutando ovviamente l'idea dell'insegnamento pomeridiano (che finalmente li avvicinerebbe, per ore settimanali, al resto dei lavoratori). Infatti sono proprio loro, insieme ai presidi, ad accogliere favorevolmente la bislacca idea del ministro. Giorgio Rembado, presidente dell'Associazione Nazionale Presidi, parla di un sistema di recupero-debiti "farraginoso", per cui “il ritorno degli esami di riparazione è benvenuto”.
Intanto, non si sa ancora come il ministro della Restaurazione procederà. Dice che è necessaria una “certificazione" sicura del superamento dei debiti, perciò qualcuno si aspetta una trovata del genere “bollino blu” rilasciato dalle officine meccaniche. Lanciatissimo com’è, il fioron fiorone potrebbe pure esagerare: dopo il bollino blu, dopo gli esami di riparazione, dopo il sette in condotta, perché non punire lo studente con la retrocessione? Sarebbe un’idea fenomenale.


Noi sardi speriamo che ce la caviamo.
Come è noto, la Marina degli Stati Uniti procederà all'abbandono della sua base militare (indimenticabile regalo di Giulio Andreotti al governo Usa nel 1972) nell'arcipelago della Maddalena. Possiamo considerarlo un successo personale, una bella vittoria di Renato Soru? Pensiamo di sì. Gli americani lasciano degli ottimi ricordi, tra cui dei valori di radioattività nelle acque tra l'arcipelago e Bonifacio (rilevazioni di tre anni fa effettuate su campioni di alghe) 400 volte superiori alla norma. Adesso, abbiamo letto che l'isola della Maddalena ospiterà il G8 nel 2009. Fuori uno, ne arrivano otto. Come diceva il poeta gallurese: Pal noi non v'ha middori/né importa cal'ha vintu/sia iddu Filippu Chintu/o Carolu Imperadori.

Meglio amministrare che lavorare.

Il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi parla a Berlino, dove sono riuniti i ministri delle Finanze e i governatori delle banche centrali europee, cioè i nostri amministratori, e dice che è meglio non cantar vittoria perché il miglioramento dei conti dell’Italia è dovuto esclusivamente al miglior gettito, e perciò è necessario eliminare gli sprechi, diminuire le spese dello Stato, cioè la spesa primaria corrente, e il carico fiscale. In altre occasioni, il governatore aveva accennato anche alla eterna questione delle pensioni.
Il governatore Draghi è libero di fare le sue raccomandazioni in merito agli sprechi (condivisibili se riferiti ad auto blu, stipendi e privilegi dei parlamentari, enti inutili, cattiva gestione della cosa pubblica), ma appare un pochino inattendibile. Soltanto sei mesi fa, l’Adusbef aveva assegnato la “maglia nera” per i costi e gli sprechi proprio alla Banca d’Italia del governatore Draghi. Sulla base dell’indagine promossa dall’Adusbef, sono troppi gli oltre 8 mila dipendenti per le funzioni che sono rimaste all’ente di via Nazionale, dopo il passaggio della politica monetaria alla Banca centrale europea e della concorrenza bancaria all’Antitrust. Tra i dipendenti del governatore Mario Draghi ci sono 665 alti dirigenti, un numero cinque volte superiore a quello delle altre Authority (Privacy, Antitrust, Consob, Comunicazioni, Energia e Gas, Isvap) messe insieme. Le spese per tutto il personale di Bankitalia, sparso nelle 97 sedi, ammonta a 712 milioni di euro con costi medi per dipendente vicini ai 90 mila euro annui.

L’autoimmobile.
Uno dei vecchi pallini del ministro Bersani, a proposito di liberalizzazioni e di alleggerimento della cosa pubblica, è la soppressione del PRA, il Pubblico Registro Automobilistico. Mission impossible, perché il carrozzone democristiano è duro a morire: ente inutile, doppione della Motorizzazione, un vero incubo per milioni di automobilisti e motociclisti italiani, con i suoi 2800 posti di lavoro, che arrivano a 3500 con l’ACI, è un’urna a cielo aperto per gli eredi della vecchia DC. Anche stavolta, il ministro Bersani ci ha riprovato, proponendo nelle sue recenti “lenzuolate” la soppressione del PRA. Ma il ministro Rutelli si è messo di traverso, opponendosi strenuamente e con una bella furbata: ha messo sul tavolo una contro-liberalizzazione, e, in particolare, ha proposto la “personalizzazione” della targa, separando la targa, di cui si occupa il PRA, dall'autovettura, che è di competenza della Motorizzazione. In questo modo la sopavvivenza del PRA è garantita, anzi blindata.
Francesco Rutelli, er Clinton de Roma, ministro dei Beni culturali, rappresenta una specie politica che si sperava in via di estinzione, surgelata nei quadretti divertenti dei vecchi film da cinegiornale, alla Alberto Sordi. In realtà è un prodotto di una classe politica a lunga conservazione, che mantiene inalterate alcune proprietà organolettiche, come, ad esempio, l’odore d’incenso. Al ministro per i Beni e le Attività culturali, fermo custode del Pubblico Registro Automobilistico, nessuno ha avuto la pazienza di spiegare che il PRA non è un “bene”, né un’attività “culturale”. Ma la cosa più incredibile è la confusione di questo politico neo-conservatore e fané che, dopo aver bloccato le liberalizzazioni e l’ammodernamento lanciato da Bersani, va, in qualità di presidente della Margherita, al congresso del suo partito, per spiegare, proprio lui, la necessità di “innovare” il sistema politico italiano, dicendo che “dobbiamo agganciare l’Italia a un mondo che corre”. Detto dal custode del PRA, simbolo dell’immobilismo dei privilegi, della burocrazia e delle scartoffie, è una cosa che fa morire dal ridere.

Quando un giudice lascia correre.
Sabato pomeriggio. Vado adelante, presto, con juicio, in uno dei rari frammenti delle rarissime piste ciclabili di Milano, dove i milanesi evadono dalle prigioni quotidiane e si concedono l'ora d'aria viziata. Appena uscito dal portone di casa, sulla strada ho schivato uno dei pericoli non contemplati nei proclami sulla sicurezza del sindaco Moratti: il traffico. Perché il traffico a Milano è un campo di battaglia di guerrieri sprezzanti che non rispettano la segnaletica, i semafori, i divieti, i limiti di velocità, figuriamoci il buonsenso o la cortesia: dare la precedenza, cedere il passo, favorire l’attraversamento di un pedone o di una bicicletta. Milano non è una città gentile. Avvolta nelle polveri sottili, è chimicamente rincoglionita, arrogante, incarognita cronica. Però adesso ho conquistato quel tratto di pista ciclabile e mi sento rilassato. A un certo punto devo attraversare una strada, ho la precedenza ma l’automobilista che mi taglia la strada non dà nessun valore alla segnaletica, e così arrivo alla parte opposta, dove riprende la pista, moderatamente incazzato. Ma c’è una strozzatura, due biciclette passano con difficoltà. Vado avanti e un ciclista magro e attempatuccio, che ha seguito la scena e mi viene incontro, si ferma, cede il passo e mi lascia correre. È un atto di cortesia che capita raramente: lo ringrazio con entusiasmo, e proseguo. Poi la mia compagna di pedalate mi raggiunge e mi dice: “Hai visto? Era Borrelli. L’ho salutato e mi ha sorriso”. Lei non è la prima volta che lo incrocia in bici: “Elegante e sorridente, a volte persino ton sur ton con la bicicletta, perfetto anche d’estate, sembra sempre appena uscito dalla doccia. Un signore”.
Ecco, ci voleva un giudice ciclista e sorridente per diradare le polveri sottili di un sabato pomeriggio a Milano, per farmi uscire dalla sindrome di don Abbondio sulla stradicciola assediata dai Bravi. Un giudice. In bicicletta. E mi viene in mente il suo discorso sul naufragio della coscienza civica, all’inaugurazione dell’anno giudiziario di cinque anni fa, e al senso del diritto, e al dovere della collettività, e a quell’estremo baluardo: “Resistere, resistere, resistere”. E così resisto anc h’io a tutti i suv degli indiana cojones milanesi, alle bmw con la puzzetta e alle lattine fiat, e resto bene in sella al mio fragile metallo, confortato dal giudice sorridente. Poi mi viene in mente che Francesco Saverio Borrelli, ma che persona gentile, è nato a Napoli, non a Milano. Ah, ecco perché.

Sanità agli sgoccioli.
Da qualche tempo, la Lombardia di don Formigoni ha ridotto la spesa sui medicinali salvavita. Ora tocca alla Sicilia di don Cuffaro.
http://www.repubblica.it/2007/07/sezioni/cronaca/salva-vita/salva-vi ta/salva-vita.html